venerdì 18 luglio 2008

Del Buon mercato e della Cattiva realtà

Questa riflessione nasce da un post di Andrea D'Angelo (click!).


Beh, di pietà a buon mercato (formula azzeccata) ne abbiamo davvero piene le tasche!

Il realismo è proprio ciò che cerco nella lettura e ciò che ambisco a rendere in quello che scrivo. Se c'è una cosa che odio è il buonismo gratuito e i facili moralismi: smettiamola con questi personaggi tutti d'un pezzo, che sanno sempre cosa fare e quando farlo, che salvano il mondo invece di sprofondare un po' con esso!
Nel doppio della vita che è il mondo del teatro, ad esempio, è accaduto proprio che a un certo punto il mito dell'eroe classico "senza macchia" è crollato, svelando un'anima lacerata e divisa. Questo è l'uomo! Eterna contraddizione, lotta con sè e col mondo. Mai equilibrio, mai pace, mai sosta; ma sempre movimento e guerra.
Lo stesso fenomeno è accaduto nella letteratura contemporanea (pensiamo alla lezione del maestro Pirandello... noi siamo al contempo Uno, Nessuno e Centomila); ma pare che raggiungere anche le lontane spiagge deserte dei romanzi fantasy sia un viaggio troppo lungo e faticoso. Così ci appioppano ancora eroi epici... Non vorrei assumere toni "profetici", ma io penso sempre più che c'è tanto male al mondo, e soprattutto dentro di noi: non ci sono santi sulla terra (forse neanche in cielo, e scusate la blasfemia). I rapporti umani si muovono spesso attraverso dinamiche d'odio, invidia, orgoglio, sopraffazione. Soprattutto con chi ci sta vicino, coi nostri simili. Ecco, per me un buon libro è quello che fotografa questa realtà (che poi è per me l'unica vera). Diffido spesso dalla gente, non vedo perchè dovrei fidarmi di belle morali ficcate nei libri per il buon mercato.

giovedì 10 luglio 2008

Un nuovo regno (ma con la solita solfa)

Titolo: Le Guerre del Mondo Emerso - Un nuovo regno

Autore: Licia Troisi

Anno: 2007

Edito da: Mondadori

Pagine: 508

Prezzo: 17,00 euro

Voto: 4/10


Stanotte ho finito di leggere Un nuovo regno, di Licia Troisi.
Il capitolo conclusivo delle Guerre del Mondo Emerso non è nulla più nulla meno di ciò che mi aspettavo: a dirla tutta, il barlume di speranza che ancora nutrivo nei confronti di questo romanzo - la speranza di un salto di qualità finale, un coniglio che sbucasse dal cilindro - si è spento dopo poche pagine.

Puntualizzo che queste mie riflessioni non possono in alcun modo costituire una recensione compiuta, semplicemente per il fatto che non ho letto tutto il libro; o meglio, metà l'ho letta in maniera continuativa, il resto a saltare perchè davvero la noia mi stava soffocando. Così ho fatto una corsa sfrenata verso l'ultima pagina, giusto per poter dire di aver concluso l'ennesima lettura.

Nonostante ciò credo che il fatto che non abbia letto l'opera per intero sia significativo ai fini di un giudizio complessivo: significa infatti che l'opera ha fallito il suo scopo principale, cioè quello d'invogliare alla lettura.

Allora, che dire di questo romanzo?
Considerando l'intera trilogia, devo ammettere che il romanzo d'apertura - La setta degli assassini - mi aveva a tratti conquistata (forse anche abbagliata, nel senso proprio dell'aver preso un abbaglio, una cantonata rivelatasi in pieno con Un nuovo regno). A quella Setta avrei dato pure un Sette decimi.
Con Le due guerriere già il cadavere aveva iniziato a puzzare, ma ancora non mi rassegnavo. Leggere dei batticuori di Dubhe e Lonerin poteva ancora essere un piacevole passatempo per una ventenne romanticona e patologicamente ostinata a non voler crescere come me.
Un solo aggettivo per Un nuovo regno: prevedibile. Ok, pure per il Signore degli Anelli era prevedibile che alla fine l'impresa della distruzione dell'Anello andasse a buon fine... ma vogliamo considerare tutto ciò che stà nel mezzo di una storia? Il come si arriva a quella che Tolkien definisce eucatastrofe?
Nulla di sconvolgente in questo pargolo troisiano, che considero un paio di spanne sotto alla stessa Setta che mi aveva dato belle speranze per i seguiti. Anche qui, le smancerie tra Dubhe e Learco sono passaggi commestibili, così per ammazzare il tempo. Ma cosa mi ha lasciato questa storia? Mi ha emozionata? No.

Spoiler. Manco quando è morto Ido, personaggio osannato da autrice e lettori. Forse l'unico con un certo spessore psicologico. E qui mi viene in mente, per contrasto, un parallelismo con un passaggio de La dimora fantasma (Erikson): la morte di Duiker e quella di Coltaine... a chi non sono venuti i brividi? Soprattutto per Duiker... crocifisso come un Cristo d'altri tempi. Un grande personaggio immolato per la buona causa della narrazione: questo sì che è un colpo da maestro! Fine spoiler.

D'altronde la Troisi non è Tolkien nè Erikson (nè qualsiasi altro buon scrittore che ancora non ho avuto il piacere e l'onore di scoprire); e poi guardiamo anche al target: ragazzini, adolscenti. Loro chiederebbero di più? No, e allora non viene offerto di più. Ma mi domando: la Troisi scrive espressamente per questo target o non è proprio capace di scrivere diversamente e quindi è limitata a questa fascia d'utenza? Nel primo caso ci sarebbe quasi da encomiarla: credo che scrivere per adolescenti sia cosa più complessa che farlo per adulti; bisogna avere enorme tatto e coscienza di metodo. Nel secondo caso... Vabbeh.

Non credo comprerò più altro della Troisi. Mi limiterò a scaricare gli ebook delle sue opere future nella speranza di quel famoso coniglio che sbuchi fuori dal cilindro...


Link correlati:

Un nuovo regno su IBS
Licia Troisi su Wikipedia
Blog dell'autrice

domenica 6 luglio 2008

Pesce fresco sul comodino

Due acquisti freschi freschi di giornata:

- Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie - Attraverso lo specchio (in un'edizione super economica di 6,90, La Biblioteca di Repubblica);

- "Albero" di Tolkien. Come il Signore degli Anelli ha segnato la cultura del nostro tempo (a cura di Gianfranco de Turris, Tascabili Bompiani, prezzo di copertina 9,20 euro, con sconto del 15% 7,82 euro, un affare!).

Quarta di copertina:
"J.R.R.Tolkien scrisse un racconto dal titolo "Foglia di Niggle": la storia di un pittore e di un suo quadro, metafora dell'opera letteraria, del suo sviluppo e dei suoi esiti. Il testo qui presentato riprende quel titolo e quella metafora riferendosi all'opera letteraria dello scrittore: quali le radici, quali i rami e quali le foglie di essa e scaturiti da essa nel corso degli anni? Così un gruppo di autori che conoscono Tolkien, ma che sono esperti di materie diverse, ha redatto una serie di saggi che in una prima parte indagano sulle radici letterarie e mitologiche non solo del Signore degli Anelli ma dell'opera complessiva del professore di Oxford; in una seconda sui rami, cioè gli sviluppi di quest'opera con un esame dei temi e dei personaggi, nonché sul loro significato; in una terza parte sulle foglie, cioè su come l'opera tolkieniana abbia influenzato musica, fumetti, arte, cinema, letteratura, giochi di ruolo e videogiochi. "

Il primo libro vorrà essere una rilettura molto attenta (in vista magari di approfondimenti futuri in ambito di studi); il secondo libro sarà una lettura particolarmente interessata: voglio capirci fino in fondo nella questione della valenza culturale del capolavoro di Tolkien. Del resto non posso pretendere di scrivere fantasy misconoscendone il padre spirituale!

...sarebbe come seguire il calcio senza conoscerne minimamente le regole (che è quel che faccio in realtà...!).


P.S. Diciamo che ho avvistato anche "Il nome del Vento" di P. Rothfuss, ma quei 22 euro mi hanno lasciata molto basita e così non ho ceduto al desiderio (speriamo in una versione economica o nei prodigi del peer-to-peer).
Molto scontenta invece di non aver trovato Memorie di ghiaccio (vol.1) di Erikson (ma solo Maree di Mezzanotte); mi toccherà ordinarlo su IBS.

sabato 5 luglio 2008

"Ma tanto è fantasy!" - Le tante declinazioni del deus ex machina

Lo spunto per questa considerazione mi viene da una discussione che sto seguendo sul forum di Fantasy Magazine, nel topic su Licia Troisi (sezione "Gli scrittori"); lo spunto è anche perfetto per collegarmi alla lettura de Un nuovo regno (capitolo conclusivo delle troisiane Guerre del Mondo Emerso) che sto conducendo faticosamente. Il perchè - il perchè mi ostini ancora a leggere una scrittrice che mi appassiona sempre meno - è presto detto: giusto per potermi offrire la magra consolazione del dire: "ho speso 17 euro, e se i soldi non sono valsi a regalarmi una lettura piacevole, quanto meno mi hanno fatto capire ancora meglio come non vorrei scrivere".

Ma andiamo al sodo. La discussione sul forum: qui un utente - Okamis - sta cercando (e il tentativo mi suscita tenerezza perchè - ahimè - so già che sarà vano) di sottoporre i propri dubbi alla stessa scrittrice romana circa la coerenza dei suoi scritti . Riporto di seguito un interessante intervento di Andrea D'Angelo in questo topic, molto esplicativo:


"Il "ma tanto è Fantasy" può essere utilizzato quando qualche lettore avanza critiche che vanno contro i principi stessi del Fantasy. Se un lettore mi dicesse: "Ma i tuoi Uomini volano! E' assurdo!" Se i miei Uomini lo fanno coerentemente all'interno del romanzo e la soluzione "volo" non è stata introdotta di punto in bianco e/o soltanto per togliermi dall'impaccio di una situazione apparentemente irrisolvibile, posso rispondere: "ma tanto è Fantasy e la coerenza c'è". La coerenza interna delle soluzioni le rende valide e inconfutabili, perché non è camuffabile. Nessun autore è in grado di dimostrare che qualcosa rientra nella coerenza interna dell'opera - cioè della ponderazione creativa dell'autore stesso - se il particolare criticato non è stato effettivamente introdotto ponderando. Si capisce quando qualcosa non è ponderato, lo si capisce molto bene."

Ecco che mi sono armata di puntiglio e, Un nuovo regno alla mano, vi sottopongo giusto il più recente passaggio che mi ha fatto inarcare il sopracciglio.

(Nota: attenzione spoiler!)

Premessa: Learco e Theana sono stati fatti prigionieri, insieme ad altri, come traditori del re, e rinchiusi nelle segrete dell'Accademia di Makrat. Dubhe (scampata al massacro ordito dal re Dohor, suo acerrimo nemico) s'ingegna (per favore, non ridete) per liberare il principe e l'amica. Con estrema facilità riesce a raggiungere indenne la cella di Learco e liberarlo; poi i due riescono a trovare la stanza delle torture (che pauuura!) dove si trova Theana (in compagnia di uno gnometto laido e cattivone che Dubhe, grazie alla Bestia che ancora una volta le graffia il petto, massacra in quattro e quattr'otto). A questo punto i tre decidono di organizzare un'evasione di massa, volendo giocare sul fattore "caos".


"Dobbiamo andarcene di qui" disse Dubhe con un filo di voce.
Aveva il volto rigato di lacrime [
per quanto riguarda la tendenza maniacale al
pianto delle eroine troisiane rimando ai link a fondo pagina
]
e le mani viscide
di sangue, ma cercava di riprendere il controllo della situazione. [...]
"Un'evasione di massa... [...] solo così potremo uscire" disse tra un rantolo e l'altro.
"Guardaci! Non siamo abbastanza in forze per combattere" obiettò Learco.
"Forse però non sarà necessario." Era stata Theana stavolta a intervenire. "Posso farlo io con un incantesimo, senza muoverci da qui."
[Ma certo, esiste la magia, quella cosa con cui puoi fare tutto ciò che ti pare e piace, perchè non c'avevo pensato?]
[...] Theana prese un grosso respiro. Era pallida e stanca, e non appena iniziò a mormorare alcune parole a bassa voce, il suo viso si fece di un colore terreo, e le sue gambe cominciarono a cedere. Learco la sorresse ancora, ma lei non si fermò. I ceppi a cui era stata legata avevano annullato i suoi poteri, e ora le servivano tutte le sue energie per richiamarli. Con gli
occhi serrati in una smorfia di dolore sul volto, terminò la formula. Il rumore simultaneo di molti lucchetti che scattavano all'unisono riempì lo spazio della cella, poi il corridoio e il piano intero. Theana cadde a terra.
[Era pure ora, visto che l'avevano appena torturata a dovere...]"


Ora, ragioniamo:

1) Cosa significa esattamente che "i ceppi a cui era stata legata [Theana] avevano annullato i suoi poteri"? Magari i ceppi avevano poteri anti-magia (tipo la polvere Otataral di Erikson)? Non credo, altrimenti il fatto sarebbe stato menzionato;

2) Quindi deduco che la frase sopra citata si riferisce al fatto che Theana essendo stata legata ai ceppi e torturata era priva di forze, forze indispensabili per effettuare un qualche incatesimo (specie se uno di vasta portata quale è quello di aprire non so quanti lucchetti);

3) Fino al fatto che Theana era spossata per eseguire l'incantesimo ci siamo. Ma mi chiedo: ora che Dubhe e Learco l'hanno liberata dai ceppi è meno stanca? O semplicemente il fatto di non essere più legata a un ceppo le permette di fare l'incantesimo? Ma non mi pare che questo richieda l'uso delle braccia e delle mani, bensì solo l'uso della voce, come descritto dalla Troisi ("[...] non appena iniziò a mormorare alcune parole a bassa voce..."). Allora il fattore-ceppo è irrilevante... Comunque, poniamo anche il caso che il ceppo la impediva: ma mica Theana è stata trasportata all'Accademia legata al ceppo! Insomma, ci sarà stato un momento in cui lei avrebbe potuto benissimo fare quell'incantesimo, prima di essere rinchiusa, legata e torturata; e se sbloccare tutte quelle serrature richiedeva troppa energia, avrebbe potuto almeno sbloccare quella della cella di Learco! O forse la mente della maga non poteva localizzarla? Ma allora come ha fatto a localizzare e sbloccare tutte le celle dell'Accademia? Ha digitato nella barra del browser del suo cervello la parola-chiave "serratura" e ha premuto search magari? Insomma, come diavolo funziona un incantesimo del genere?

Mistero dei misteri.

Quel che resta di fatto è che a questo punto della storia Theana ha il lampo di genio di fare quest'incatesimo di liberazione di massa e salvare il deretano collettivo.
Se questo non è un deus ex machina allora come definirlo?
Ma certo... che stupida, la risposta è così semplice:

...ma tanto è fantasy!

Facciamocene un baffo della coerenza e dell'onestà nei confronti del lettore.

Link correlati:

Il topic in questione
http://www.fantasymagazine.it/forum/viewtopic.php?t=11473&start=30

Recensioni dei libri della Troisi su Gamberi Fantasy
http://fantasy.gamberi.org/2008/01/16/recensioni-romanzo-nihal-della-terra-del-vento/

http://fantasy.gamberi.org/2008/01/23/recensioni-romanzo-la-missione-di-sennar/

http://fantasy.gamberi.org/2008/01/30/recensioni-romanzo-il-talismano-del-potere/

http://fantasy.gamberi.org/2008/06/12/recensioni-romanzo-la-setta-degli-assassini/

"L'evasione del prigioniero" - J.R.R. Tolkien

Non vedi laggiù la stretta viacosì angusta, circondata da spine e da rovi?
È il sentiero della Virtù, sebbene pochi lo ricerchino.
E non vedi laggiù quell’ampia, ampia stradache si snoda attraverso il campo di gigli?
È il sentiero della Malvagità, sebbene alcuni lo chiamino Via del Paradiso.
E non vedi laggiù un grazioso viottoloche serpeggia sull’erta tra le felci?
È il sentiero verso la magica Terra degli Elfi, dove tu e io questa notte avremo riposo.

J. R. R. Tolkien, Sulle fiabe


Chiunque, credo, associa automaticamente il nome di John Ronald Reuel Tolkien al titolo della sua opera celeberrima, Il Signore degli Anelli. Io stessa ho recentemente scoperto che lo scrittore anglosassone è stato anche un teorico della fiaba: in Albero e foglia (1964), infatti, troviamo il suo saggio Sulla fiaba. Premetto che non possiedo il libro e quindi non ho potuto leggere il saggio in questione, ma documentandomi ho potuto farmi un'idea del suo contenuto.

Tolkien elenca quattro usi o valori delle fiabe: Evasione, Riscoperta, Consolazione, Fantasia.


Evasione
Spesso la letteratura escapista è accusata di disinteressarsi della realtà, per questo il carattere evasivo della letteratura fantastica viene visto negativamente. A chi lo accusava di evasione fine a se stessa Tolkien replicava che:

"L’evasione del prigioniero non va confusa con la fuga del disertore."

Infatti secondo lo scrittore è assurdo dire ad un prigioniero che fuggire è sbagliato. Ora la domanda è: evadere da cosa? La risposta di Tolkien è «dal mondo», che è spesso malvagio e ci confonde: l’evasione ci aiuta infatti a sfuggire la «schiavitù degli oggetti» e a recuperare una visione chiara delle cose. Portato all’estremo, poi, il concetto di evasione si fa carico persino del desiderio umano di sottrarsi alla Morte.

Riscoperta
Il secondo valore delle fiabe è la riscoperta, intesa come recupero della bellezza della sorpresa infantile di fronte alle novità: le fiabe, secondo Tolkien, ci aiutano a recuperare quella freschezza che avevamo da bambini, di contro alla tendenza a farci condizionare dalle abitudini e da ciò che è “vecchio e già sperimentato”.

Consolazione
La consolazione, ovvero il famoso “lieto fine”, è forse quella condizione senza la quale non può esistere alcuna fiaba. Se la tragedia è la forma più alta del teatro, pare che la struttura stessa della fiaba esiga una risoluzione positiva. Tolkien parla di un capovolgimento finale che porta la storia ad una eucatastrofe (termine coniato da lui stesso) finale, che altro non è che «una visione fuggevole della Gioia oltre le muraglie del mondo».

Fantasia
E' forse l'aspetto che in sede di letteratura fantasy m'interessa di più, per via del rinvio all'importante attività della creazione di un mondo.
Tolkien definisce la fantasia come la facoltà che noi abbiamo di immaginare cose che non abbiamo mai visto né sentito. In particolare, con la memoria immaginiamo il passato, con l’intuizione il presente, e con la previsione il futuro. Qui Tolkien aggiunge un Terzo Regno: quello delle opportunità non realizzate, dove dimora tutto ciò che non esiste. Secondo lo scrittore, grazie alla fantasia, noi possiamo immaginare – forse anche creare – parti di quel mondo.

Inoltre, Tolkien volle sfatare il luogo comune che associa la letteratura fantastica (in questo caso quella favolistica) al mondo dei bambini. Infatti, secondo lo scrittore:

"La connessione istituita tra bambini e fiabe non è che un accidente della nostra storia."

Le storie di Biancaneve, Cenerentola, ecc., in origine contenevano aspetti complessi e anche violenti, destinati agli adulti; tanto che, sempre a detta di Tolkien, le fiabe non sarebbero semplicemente storie di fate, bensì:

"Vicende in cui si narra del mondo fatato […] È un reame che contiene molte altre cose accanto a elfi e fate […]: racchiude i mari, il sole, la luna, il cielo, e la terra e tutte le cose che sono in essa, alberi e uccelli, acque e sassi, pane e vino, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo vittime di un incantesimo."

Tolkien rintraccia lo slittamento delle fiabe dal mondo adulto a quello infantile nell’Inghilterra vittoriana dominata dalla rivoluzione industriale che aveva scombussolato la società: in questo contesto le fiabe incarnavano la nostalgia per un mondo genuino che andava scomparendo. Ad un certo punto gli editori fiutarono l’interesse crescente per questo mondo in estinzione e, di conseguenza, per lo stadio dell’infanzia, caratterizzato dalla semplicità e dal gioco: così le fiabe di tutto il mondo furono riadattate e riempite di ragazze indifese e oppresse e di giovani baldanzosi premiati per le loro virtù cristiane. Tempo dopo, un signore di nome Walt Disney avrebbe dato un grande contributo a questa nuova tendenza col suo primo lungometraggio a cartoni: Biancaneve. A chi lo criticava di generalizzare eccessivamente le fiabe a danno della loro forma originaria Disney rispondeva così:

"Semplicemente, ai nostri giorni la gente non vuole ascoltare le fiabe nella versione originale. Queste infatti erano troppo violente. In ogni caso, alla fine, si ricorderanno la storia nel modo in cui noi la filmiamo."

Ed in effetti, oggi è il nome di Walt Disney, e non quello di Tolkien, a balzare alla mente quando si parla di fiabe.


Link correlati:

Su Tolkien e le fiabe (di Terri Windling)
http://www.endicott-studio.com/rdrm/Itfortolkn.html

Un articolo del Corriere della Sera
http://www.corriere.it/speciali/signoredeglianelli/articolomedail.shtml

giovedì 3 luglio 2008

Scrittura - Show, don't tell!

Da Wikipedia:

"Show, don't tell (Mostra, non dire) è un'espressione di tecnica narrativa di derivazione anglosassone. Viene utilizzata come raccomandazione per gli scrittori che fanno un uso eccessivo di spiegazioni e commenti a discapito dell'azione e dei dialoghi. Se
lo scrittore usa azione e dialoghi per rivelare un
personaggio, la trama
dovrebbe risultare più interessante al lettore. Quest'ultimo dovrebbe sentire di vedere la
scena schiudersi di fronte a sé e, in conseguenza di ciò, giungere a una propria interpretazione senza
interferenze da parte dell'
autore."


Direi che il concetto è piuttosto chiaro. E lo è ancora di più se ci viene in aiuto una metafora presa in prestito dal mondo cinematografico: in sostanza, sarebbe bene descrivere una scena non raccontando ciò che dice e fa un personaggio, ma vedendolo agire e parlare, quasi vi fosse un obiettivo a catturare ogni sua espressione e movimento (sì, un po' come spiarlo dal buco della serratura).
Personalmente, condivido in pieno questo assunto. Ed è anche per questo che nel raccontare prediligo l'uso della terza persona limitata: infatti, da un po' mi sono resa conto che un punto di vista onnisciente rende spesso noiosa la lettura. Io trovo sacrosanto il beneficio del dubbio, la carica suggestiva delle reticenze.
Certo, c'è poi chi, secondo me, ne abusa, lasciando troppi punti oscuri, domande in sospeso. E' il caso, a mio parere, di Steven Erikson (che ho scoperto solo di recente) il quale, per quanto io quasi adori e osanni il suo stile e i suoi scritti, non manca di far scervellare il lettore durante tutto il corso della narrazione. Da un lato questa "tattica" produce l'effetto di portare la curiosità al suo apice, ma dall'altro desta non poco nervosismo (almeno per ciò che mi riguarda... in più punti della lettura avrei voluto avere Steven a disposizione di fronte a me per farmi chiarire personalmente vari misteri!). Nonostante ciò, è anche vero che in Erikson tutti i pezzi del puzzle alla fine combaciano, anche se non subito e a una certa distanza tra un libro e l'altro.
In generale, comunque, è sicuramente peggio trasgredire il dettame "Show, don't tell", piuttosto che applicarlo all'ennesima potenza: infatti, nel primo caso si crea un buon motivo per abbandonare la lettura; nel secondo caso se ne offre uno per continuare a leggere.



P.S. Rinvio a un interessante articolo pubblicato su Gamberi Fantasy:

http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/

La Rocca dei Silenzi - Andrea D'Angelo

Titolo: La Rocca dei Silenzi

Autore: Andrea D'angelo

Edito da: Nord (Fantacollana)

Anno: 2005

Pagine: 444

Prezzo: euro 16,50

Giudizio:
7.5/10


Inauguro la sezione "Recensioni" con un romanzo di un autore nostrano. Premetto che La Rocca dei Silenzi mi è piaciuto; il romanzo mi ha conquistata pian piano, ma con forza. Mi ha sorpresa e affascinata in molti passaggi (diciamo per il 90% della totalità), in pochi altri mi ha lasciato un po' smarrita e spiegherò perchè. Ma andiamo per ordine.

Nota: questa recensione contiene spoiler!


Trama
Anch'io, come già altri, ho iniziato a intuire il “segreto” della Rocca prima della metà del libro. Questo mi è dispiaciuto molto, ma in parte è stata colpa mia, perchè l'eccessiva curiosità mi aveva portata a spulciare i forum e le recensioni in rete nell'attesa che il romanzo ordinato su ibs.it mi giungesse. Tuttavia il presagio dello svolgimento finale della trama non ha inficiato la godibilità del tutto. Una lode all'autore per come ha saputo gestire gli intrighi e i sotto-intrighi. Promuovo in pieno quella che definirei una “tecnica di scorci”: spezzettare internamente i capitoli, mostrare alcune scene per volta e lasciare sempre col fiato sospeso è un accorgimento molto riuscito; inoltre permette di smorzare la noia che potrebbe derivare dal dover sorbirsi per un capitolo intero le ossessioni e le paure di un singolo personaggio o le atmosfere di un unico luogo.

SPOILER! Quanto al tema di fondo - la manipolazione genetica - non mi ha colpita molto. O meglio, mi ha sorpresa il fatto che un tema contemporaneo sia stato messo alla base di un romanzo fantasy – condivido l'autore quando afferma di non voler scrivere fantasy di pura evasione e intrattenimento, bensì fantasy “impegnato” e attento al reale. Semplicemente, i temi contemporanei non mi attirano molto. Ma questi sono gusti personali. In ogni caso, che il tema mi toccasse da vicino o meno, il romanzo alla fine centra il bersaglio: ti induce comunque a riflettere, tramite una trasfigurazione letteraria, su qualcosa che appartiene al nostro tempo. Ovviamente neanch'io, come l'autore afferma nella Nota finale, saprei scegliere se schierarmi dalla parte di Thal Dom Djew o Aseena Do Raghi. Semmai – e qui mi ritrovo ancora d'accordo con D'Angelo – mi sento molto vicina, proprio umanamente parlando, a Mordha (che tra l'altro è uno dei personaggi cui mi sono affezionata di più). FINE SPOILER

Personaggi
Indubbiamente sono il punto forte del romanzo. Come recita la citazione in copertina:

"D'Angelo è un autore veramente abile nell'approfondire le tensioni emotive dei personaggi che popolano i suoi romanzi."

Dopotutto, lo stesso autore sul suo sito afferma che "La Rocca dei silenzi è un romanzo di personaggi"; direi che D'Angelo è riuscito con successo nei suoi propositi: man mano che la storia procede, il quadro individuale di ogni personaggio si arricchisce, completando l'affresco di sfumature e particolari che rendono i personaggi “dannatamente umani”. Questo era l'intento di D'Angelo e, mi permetto di dire, questo è il tipo di romanzo fantasy che avrei sempre voluto leggere (e nel dir questo non eccedo con l'elogio, ma dico solo la – mia – verità). A differenza di altri – qui ancora parliamo di impressioni soggettive, a ognuno le proprie – io non ho avvertito questo distacco incolmabile tra me-lettore e i personaggi sulla carta. E' vero che un po' tutti inizialmente spiazziano e ti fanno domandare: “Ma lui da che parte stà? E' cattivo o buono? Ci si può fidare di lui? Chissà che non tradisca all'ultimo momento?”; tuttavia la gamma di difetti e ossessioni che li caratterizza è così vicina a noi esseri umani in carne ed ossa che col tempo – con cautela – mi sono accostata affettuosamente quasi a tutti i personaggi.

SPOILER! Andando più nello specifico: Thal Dom l'ho sentito vicino per la sua lucida follia, la sua apparente durezza ed infine la sua fragilità (inutile aggiungere che quando è morto è stato un colpo al cuore, forse anche perchè non mi aspettavo che venisse liquidato così... magari speravo, sognatrice e idealista come sono, una morte più “eroica”, e lo stesso ho pensato per la morte di Moenias); Mordha mi ha affascinata, mi ricorda un po' lo stereotipo del “gigante buono” (non so perchè ma, nella mia stramba fantasia, l'ho immaginato con la voce di Vin Diesel di The Chronicles of Riddick; per altri versi l'ho accostato a John Coffey del film Il miglio verde, forse perché dopo un po' ho sospettato che questa volta non poteva trattarsi di un sicario malvagio fino al midollo ma che dietro l'aspetto imponente e tetro Mordha nascondesse una grande sensibilità); Vòrak non so come definirlo... mi ha colpito perchè non è il solito nano spaccone e alcolizzato (il suo prestar fede, fino alla fine, alla sua "Kuaad" - la vendetta - gli conferisce molto spessore), ma ho iniziato ad averlo in antipatia da quando ho capito che avrebbe fatto fuori Thal Dom; Leshà mi ha dato un po' i nervi per il suo fare la parte della “piagnucolona che chiede protezione a chiunque” e credo che, insieme a un po' tutti i personaggi femminili, non sia stata approfondita adeguatamente (tuttavia il suo modo di essere viene giustificato abbastanza durante il romanzo, dunque non ho visto incoerenza e anche questo personaggio è molto credibile); Dèwera è la nota frizzante in tanto spargimento di sangue; Darija l'ho trovata anonima e abbozzata (ma non fa molta differenza visto che sarebbe uscita fuori di scena ben presto); Muèlm, con tutte le sue debolezze, l'ho sentito vicino tanto quanto Thal Dom (poi io ho un debole per tutto ciò che riguarda il deserto, il vento, e comunque tutte le metafore della Libertà). Quanto ai potenti della Torre di Dothrom, ho persino compreso l'atteggiamento di Greon, ho capito quale peso gravasse su di lui e cosa significasse essere l'Arhà della Torre di Dothrom, covo di corrotti senza scrupoli (Greon è come il Principe ideale descritto da Machiavelli: quando mai il potere non ha avuto un prezzo? Quando mai potere non ha fatto rima con “scendere a compromessi” o, peggio, “corrompere ed essere corrotti”?). Ultima menzione per coloro che forse sono stati i veri protagonisti – ignari – del romanzo: le mostruose – ancora “terribilmente umane” - creature che appestano la Rocca dei Silenzi. Sono le tante pecore Dolly, volendo riprendere la Nota finale dell'autore, che mi hanno fatto rabbrividire a prima vista, come accade sempre quando siamo di fronte al “diverso”, ma che mi hanno fatto una grande tenerezza quando le pagine del romanzo mi hanno mostrato gli orrori cui erano destinate... per non parlare poi della parabola finale: vederle bruciare mentre si agitavano nelle gabbie è stato un po' come se fossi stata io stessa ad appiccare il fuoco. Piccola menzione anche per le taccole: parentesi vivace e dettaglio che arricchisce l'atmosfera del romanzo. FINE SPOILER

Ambientazione
Poco da dire, in quanto in realtà dell'ambientazione si è visto ben poco. Scelta ragionata dell'autore, sulla quale non posso obiettare nulla. Infondo, a cosa sarebbero servite le descrizioni di luoghi lontani quando il fulcro della vicenda è la bipolarità costituita da Ammothàd e dalla Torre di Dothrom?

Stile
Qualche altro appunto sulle scelte stilistiche. Le parolacce, ad esempio: non le condanno. Anche se a volte mi è sembrato di ascoltare una battuta tratta da qualche film di Quentin Tarantino, non posso neanche affermare che le parolacce facciano crollare la coerenza dell'ambientazione. Anzi, le parolacce, oltre ad essere molto efficaci espressivamente, rendono maggiormente l'umanità dei personaggi. Certo, in un mondo fantasy, se proprio vogliamo essere pignoli, sembrano stonare (l'ideale sarebbe inventarne di nuove, adattandole alla cultura e le tradizioni del mondo creato, ma si tratta di un lavoro immane), tuttavia questa è stata la scelta dell'autore e come tale va rispettata. Poi mi è parsa una cosa molto originale. Mi soffermo un attimo anche su un altro aspetto: le parentesi riguardanti i fugaci amplessi tra alcuni personaggi. Come le parolacce, ci stanno anche queste cose: immaginiamo un gruppo di persone, maschi e femmine, costretti a condividere gli stessi spazi per un certo tempo... non credete che prima o poi ci scappi qualche incontro? Basta pensare a cosa succede nei reality per capire che non stiamo parlando di nulla di assurdo. Quel che conta, comunque, è il fatto che nonostante parolacce e allusioni sessuali l'autore non sia mai scaduto nella volgarità fine a se stessa: io non sono in nessun caso rimasta disgustata (escludendo i passaggi splatter inerenti le battaglie, ma lì era doveroso che i fatti facessero inorridire!). Concludo con una piccola nota dolente: in alcuni passaggi (mi riferisco alle scene d'azione) mi sono ritrovata un po' disorientata, non riuscendo a capire chi stesse facendo cosa... non capisco però a cosa sia dovuto e non saprei direi come D'Angelo avrebbe potuto descrivere quelle scene diversamente... Anche i dialoghi a volte mi hanno spiazzata... forse qualche frase retorica di troppo o giri di allusioni troppo intricati... ma si tratta di rare eccezioni.

In conclusione, posso affermare che gli euro spesi per la Rocca dei Silenzi sono valsi il piacere di leggere il romanzo (cosa che non è accaduta per altri libri di cui parlerò in seguito, ma per ora teniamo a mente un nome: Licia Troisi). La ragione del 7.5 come valutazione sta nel fatto che mi sarebbe piaciuto riscontrare una pari profondità psicologica nei personaggi femminili rispetto a quelli maschili.


Link correlati:

La Rocca dei Silenzi su IBS
La Rocca dei Silenzi su Wikipedia
Il blog dell'autore

C'è sempre un inizio.

La primissima idea per il mio ciclo di libri risale al settembre del 2007: già in quell'estate avevo scritto una prima stesura di quella che avevo pensato come una trilogia, ma subito mi resi conto di quanto fosse controproducente mettersi a scrivere qualcosa di getto senza prima aver ben chiare in mente ambientazione, trama e personaggi (credibili e coerenti). Ho compreso che questo è un punto di partenza indispensabile per qualsiasi progetto di scrittura, specie se si tratta di fantasy. Così mi sono rimboccata le maniche e ho iniziato proprio da una mappa: dal macrocosmo sono passata via via al microcosmo (dal territorio alla società, con istituzioni, usi e costumi, culto e magia, e così via...). Il lavoro che andavo sviluppando mi dava giorno dopo giorno la misura di quanto fosse complessa l'ideazione di un mondo.
Parallelamente andavo ridefinendo nella mia mente le idee che mi avevano ispirata per la prima stesura: la trilogia è diventata una tetralogia, e per ogni tomo ho cercato una ragion d'essere (non è detto che sia quella definitiva e corretta per tutti i quattro libri, ma bisogna sempre trovare un inizio!).
Al lavoro di progettazione e scrittura ho sempre affiancato l'attività della lettura, che ritengo l'unico modo veramente efficace per acquisire un metodo di scrittura (i trucchetti del mestiere) e stimolare la propria fantasia.
La cosa più bella (!?) in tutto ciò è che non sono neanche a metà dell'opera...!


P.S. Segnalo una guida alla scrittura creativa di Andrea D'Angelo (i suoi consigli hanno acceso molte lampadine nella mia mente):

http://negrore.com/scrittura/index.htm

Prova 1

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