ATTENZIONE: contiene spoiler su Maree di Mezzanotte.
Il vecchio palazzo, che presto sarebbe stato abbandonato in favore dell’Eterno Domicilio, era appollaiato su una collina concava; l’edificio vero e proprio era a un centinaio di passi dalle rive del fiume. Parti di un alto muro indicavano che, un tempo, a estendersi dal palazzo al fiume, c’era stato un recinto, con un’accozzaglia di strutture efficacemente isolate dal resto della città.
[…] La zona, per quanto non più rinchiusa, veniva solitamente evitata. La terra stessa non valeva nulla, a causa di un editto reale vecchio di sei secoli che vietava la demolizione delle antiche strutture, e i successivi insediamenti.
[…] Ma i lettori esperti delle mattonelle delle Fortezze conoscevano bene il significato di quella torre pendente, tozza, quadrata, con il suo terreno invaso dalla vegetazione. E anche delle abitazioni Jaghut, rappresentative com’erano della Fortezza di Ghiaccio. Molti sostenevano che la Torre dell’Azath fosse stata la primissima struttura dell’Azath in questo mondo.
Dalla sua nuova prospettiva, Shurq Elalle era meno scettica di quanto non avesse potuto essere in passato. Il terreno intorno alla malconcia torre di pietra grigia esercitava un minaccioso richiamo su di lei. Lì c’erano suoi parenti, ma non di sangue. No, quella era la famiglia dei non-morti, di coloro che non potevano o non volevano cedere all’oblio. Per chi era interrato nella terra grumosa, venata di argilla intorno alla torre, le tombe erano prigioni. La Torre dell’Azath non rinunciava ai suoi figli.
Sentiva anche che sepolte lì c’erano creature viventi, per lo più condotte alla follia da secoli e secoli di immobilità forzata tra antiche radici. Altre rimanevano cupamente immobili e silenziose, come in attesa della fine dell’eternità.
La ladra si avvicinò al terreno proibito dietro il palazzo. Vedeva la Torre dell’Azath, il cui terzo e ultimo piano si innalzava sopra le pareti curve delle abitazioni Jaghut. Nessuna delle strutture si ergeva completamente dritta. […]
Non aveva bisogno di vedere la pista di sangue. L’odore aleggiava pesantemente nell’aria afosa della notte; ne seguì la scia fino ad arrivare al muro basso che circondava la Torre dell’Azath.
Appena al di là, alla base di un albero storto, sedeva la bambina di nome Kettle. Nove o dieci anni… per sempre. Nuda, la pelle chiara sporca, i lunghi capelli intrisi di coaguli di sangue. Il cadavere davanti a lei era già mezzo sottoterra; veniva risucchiato giù verso l’oscurità. Per nutrire l’Azath? O qualche abitante affamato? Shurq non ne aveva idea. E non le importava. Il terreno inghiottiva i corpi, e questa era una cosa utile.
Kettle alzò lo sguardo; gli occhi scuri riflettevano, opaca, la luce delle stelle. Erano coperti da una spessa pellicola e da muffe che, se non curate, avrebbero potuto accecare la bambina. Questa si alzò lentamente; andò a raggiungere Shurq.
«Perché non vuoi essere mia madre?»
«Te l’ho già detto, Kettle. Non sono la madre di nessuno.»
«Stanotte ti ho seguito.»
«Mi segui di continuo.»
«Non appena hai lasciato quel tetto, un altro uomo è arrivato nella casa. Un soldato. Ed era seguito.»
«E chi dei due hai ucciso?»
«Quello che seguiva, naturalmente. Sono una brava bambina. Mi prendo cura di te. Proprio come tu ti prendi cura di me…»
«Io non mi prendo cura di nessuno, Kettle. Tu eri morta molto prima che io lo diventassi. Vivevi su questo terreno. Ti portavo dei corpi.»
«Mai abbastanza.»
«Non mi piace uccidere. Lo faccio solo quando non ho scelta. E poi, non ero l’unica a usare i tuoi servigi.»
«Sì, invece.»
Shurq fissò la bambina per un lungo attimo. «Davvero?»
«Sì. E volevi conoscere la mia storia. Tutti gli altri mi evitano, proprio come evitano te. A parte quell’uomo sul tetto. È anche lui uno diverso da tutti?»
«Non lo so, Kettle. Ma ora lavoro per lui.»
«Ne sono contenta. Gli adulti devono lavorare; il lavoro riempie la mente. Le menti vuote non vanno bene; sono pericolose. Si riempiono da sole, di cose cattive. E nessuno è felice.» Shurq inclinò la testa. «Chi non è felice?»
Kettle agitò una mano sudicia verso il cortile in dissesto. «Irrequieti. Tutti quanti. Non so perché. La torre suda tutto il tempo.»
«Ti porterò dell’acqua salata», annunciò Shurq, «per gli occhi. Devi lavarli».
«Vedo bene. E non solo con gli occhi, ora. La mia pelle vede. E gusta. E sogna la luce.» «Che cosa intendi dire?»
Kettle si scostò dal viso a cuore ciocche di capelli insanguinate. «Cinque cercano di uscire. Non mi piacciono quei cinque; non mi piace la maggior parte di loro, ma specialmente quei cinque. Le radici stanno morendo. Non so cosa fare. Mormorano di come mi faranno a pezzi. Presto. Non voglio essere fatta a pezzi. Cosa devo fare?»
Shurq rimase in silenzio per un po’. Poi chiese: «Quanto percepisci dei Sepolti, Kettle?» «La maggior parte non mi parla; sono impazziti. Altri mi odiano perché non li aiuto. Alcuni pregano e supplicano. Parlano attraverso le radici.»
«Ce ne sono che non ti dicono niente?»
«Alcuni stanno sempre muti.»
«Parlagli. Trova qualcun altro con cui parlare, Kettle. Qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarti.» Qualcun altro che ti faccia da madre… o da padre. «Chiedi opinioni, su qualunque argomento. Se ne rimane uno che non cerca di compiacerti, che non tenta di manipolare i tuoi desideri per essere liberato, e che non prova lealtà per gli altri, dovrai dirmi di lui. Tutto quello che sai. E io ti consiglierò come meglio potrò… non come una madre, ma come una compagna.»
«D’accordo.»
«Bene. Ora, sono venuta qui per un’altra ragione, Kettle. Voglio sapere: come hai ucciso quella spia?»
«Gli ho azzannato la gola. È il modo più rapido, e mi piace il sangue.»
«Perché ti piace?»
«Il sangue nei capelli mi aiuta a tenerli lontani dal viso. E odora di vita, non trovi? Mi piace quell’odore.»
«Quanti ne uccidi?»
«Tanti. Il terreno ne ha bisogno.»
«Perché il terreno ne ha bisogno?»
«Perché sta morendo.»
«Morendo? E cosa succederà se muore, Kettle?»
«Tutto verrà fuori.»
«Oh.»
«Mi piace questo posto.»
«Kettle, d’ora in poi», concluse Shurq, «ti dirò io chi uccidere… non preoccuparti, dovrebbero essercene molti».
«Va bene. Gentile da parte tua.»
Fra le centinaia di creature sepolte nel terreno dell’Azath, solo una era in grado do ascoltare la conversazione fra le due non-morte in superficie. L’Azath stava abbandonando la sua morsa su quell’abitante, non per debolezza, ma per necessità. Il Guardiano era tutt’altro che pronto: forse non lo sarebbe stato mai.
[…] La Torre dell’Azath stava davvero morendo. E la disperazione costringeva ad avventurarsi su sentieri mai percorsi.
Tra tutti i prigionieri, era stata fatta una scelta. E i preparativi erano in corso, lenti come l’infiltrarsi delle radici nella pietra, ma altrettanto inesorabili. Tuttavia, c’era pochissimo tempo.
L’urgenza era un grido silenzioso che strappava sangue alla Torre dell’Azath. Cinque creature, simili tra loro, catturate e tenute prigioniere dai tempi dei K’Chain Che’Malle, avevano quasi raggiunto la superficie.
E ciò non era un bene, poiché erano Toblakai.
Questo passaggio - tratto da Maree di Mezzanotte di Erikson, che sto ancora leggendo - mi ha colpita: vi rintraccio un'eccellente concertazione. E' un passaggio chiuso e aperto allo stesso tempo, compiuto, essenziale ma non privo di dettagli significativi.
Analisi
L'estratto si apre con uno scenario: la Torre dell'Azath e dintorni. Della zona ci viene detto quanto basta per farci intendere che non è un luogo dall'aspetto rassicurante e che cela sicuramente qualche mistero. Infatti andando avanti scopriamo che il terreno, qui, mangia i morti. Il perchè fa ovviamente parte del mistero (e non è detto che Erikson, più avanti, lo sveli).
Dopo la descrizione iniziale, che ci ha offerto una visione d'insieme, l'obiettivo immaginario della telecamera si restringe e focalizza su uno dei due personaggi protagonisti di questo passaggio: Shurq Elalle, una sorta di non-morta con una storia alle spalle che ha dell'incredibile e che non starò qui a citare. Poco dopo, eccoci mostrata Kettle, l'inquietante bambina che scopriremo si occupa di fornire al terreno dell'Azath i cadaveri di cui ha bisogno.
Segue il dialogo tra Shurq e Kettle: gli interrogativi di Shurq mantengono quella razionalità che in Kettle vacilla, tanto che le risposte della bambina sono reticenti e allucinate; tuttavia ci vengono fornite delle informazioni che ci permettono perfino di capire qual è il particolare rapporto tra le due (il disperato desiderio d'affetto della bambina, che forse è lo stesso di Shurq, sebbene lei non voglia ammetterlo neanche a se stessa...). E' incredibile quanto possa contenere, d'importante, un solo breve dialogo!
Infine, il mistero che s'infittisce - il terreno si sta indebolendo e quando cederà "Tutto verrà fuori" - e il disvelamento finale: dalla terra-prigione risalgono alla superficie cinque creature. Il fatto che siano Toblakai non lascia presagire nulla di buono.