lunedì 18 agosto 2008

"Albero" di Tolkien

Inizio oggi la trattazione di questo testo scovato per caso in una libreria.
Sicuramente un insieme di saggi approfonditi su Tolkien era proprio ciò di cui abbisognavo, poichè finora di Tolkien sapevo solo che scrisse Il Signore degli Anelli e poco altro; ho ovviamente visto la trilogia di film di P.Jackson e letto per intero l'opera, ma questo è accaduto già troppo tempo fa e dunque mi riprometto di rileggere Il Signore degli Anelli un giorno o l'altro.

Ma veniamo al testo in questione: curato da Gianfranco De Turris, comprende un insieme di saggi di svariati autori.
Intanto, il titolo: come spiega De Turris nell'Introduzione, l'immagine dell'albero non è frutto di una scelta casuale. Tolkien stesso amava gli alberi, tanto che essi nella sua opera diventano creature viventi (gli Ent). Ma vi sono anche dei luoghi comuni legati all'albero: uno è quello che vede la mente come terriccio fertile dove le idee mettono radici e germogliano; la metafora dell'albero è stata molto inflazionata anche nell'ambito della narrativa tradizionale, infatti si parla dell'albero del mito, l'albero delle storie, l'albero delle fiabe. Tornando a Tolkien, egli stesso scrisse un racconto intitolato "Foglia" di Niggle, il cui titolo appunto viene parafrasato dal testo in esame: si trattava della storia di un pittore eternamente insoddisfatto del quadro che stava dipingendo. Il soggetto del quadro era guarda caso una foglia. L'analogia: come il pittore apportava continuamente modifiche al proprio quadro, così lo scrittore era perennemente insoddisfatto del suo narrare.


Tolkien politicizzato

Come afferma De Turris ancora nell'Introduzione:
Vi sono di certo libri che hanno una vera diffusione universale da la Bibbia a Pinocchio [...] e tutti si possono definire, con un termine tecnico, long sellers.

Il Signore degli Anelli rientrerebbe proprio in questa categoria. Non solo: quest'opera ha riscosso un successo universale che è andato al di là delle ideologie e dei confini geografici, poichè si basa su valori profondi e attinge ai miti, che non hanno colori e non tramontano mai.

Secondo De Turris la critica italiana per lungo tempo si è limitata a sottolineare i soliti aspetti della produzione tolkieniana - forse quelli che più le facevano comodo - senza approfondire veramente il perchè di tanto successo. Questo - sempre secondo l'autore - perchè la cultura italiana è stata fortemente influenzata da un approccio "realista/razionalista/progressista", retaggio dell'ultimo mezzo secolo e che ha investito i campi della narrativa, della poesia, del cinema e del teatro, fino ai fumetti e alla musica leggera. Questo approccio comportava il rifiuto di tutto ciò che era ritenuto pericolosamente evasivo, a favore invece di un'analisi critica del reale. Ecco perchè una serie di opere sono state condannate come "irrazionali", "evasive", e in ultima analisi "negative" (anche e soprattutto perchè esse evocavano un periodo visto come "oscuro", il Medioevo appunto). De Turris chiama questo atteggiamento "di sinistra". Opposto ad esso, il versante cosìddetto "di destra", che invece vedeva l'immaginario moderno come semplice espressione moderna di antiche figure fondamentali del mito, e che dunque apprezzò l'opera tolkieniana in questo senso.
Questa bipartizione portò addirittura gli intellettuali "di sinistra" a definire Tolkien "fascista", sulla base del potente sillogismo: "Destra uguale fascismo, i fascisti leggono Tolkien, Tolkien è fascista". Tutto ciò nonostante Tolkien stesso avesse sempre rifiutato una visione allegorica della sua narrativa, favorendo piuttosto la visione simbolica.


Parte I - Le Radici
Nel segno di Snorri. Le fonti letterarie di J. R. R. Tolkien*

Un giorno L[ewis] mi disse: "Tollers, ci sono troppo pochi racconti che ci piacciono. Temo che dovremo provare a scrivere qualcosa noi".

Nell'accostarsi alla narrativa Tolkien fu spinto fondamentalmente dall'interesse linguistico e filologico. Egli stesso voleva che la sua opera venisse inquadrata in questo modo:

I racconti immaginari nacquero dalla predilezione di Tolkien per l'invenzione dei linguaggi. Egli scoprì, come tutti quelli che sviluppavano questo tipo di invenzioni, che un linguaggio richiede un'ambientazione adatta, e una storia in cui possa svilupparsi.

Sarà che ho di recente sostenuto l'esame di Filosofia e teoria dei linguaggi, ma questa citazione accende nella mia mente più lampadine: tra queste, l'idea che Wittgenstein aveva di linguaggio. Egli lo definì come "gioco linguistico" ed il significato come "uso", ponendo l'accento sul legame imprescindibile tra linguaggio e contesto (dunque nel nostro caso linguaggio e "ambientazione"). Per spiegare il concetto Wittgenstein fa l'esempio del leone: egli dice che quand'anche un leone potesse parlare, noi non potremmo mai comprenderlo; ma non perchè il leone parlerebbe un altro linguaggio, bensì perchè noi non potremo mai capire qual'è la forma di vita di un leone. Infatti noi possiamo solo immaginare come viva un leone. Ed è questo scarto ineliminabile tra mondo umano e mondo animale (dovuto a quello che Aristotele chiamava logos, il discorso, o la ratio latina, posseduti dagli uomini e non dagli animali) la causa della nostra impossibilità di comprendere un leone nella situazione ipotetica appena esposta.
Ma torniamo a Tolkien.
Il professore di Oxford, com'è risaputo, è stato consacrato come padre fondatore del genere fantasy. Per chiunque si cimenti nella scrittura fantasy, la lettura di Tolkien sembra un passaggio obbligato. L'eredità di Tolkien è così forte da risultare quasi ingombrante, tanto che viene da chiedersi: che tipo di fantasy dopo Tolkien? L'opera tolkieniana è infatti un corpus in se compiuto, fatto di cosmologia, mitologia, epica e storia. "Come poterne fare, dunque, un genere letterario con tanto di codici e di canoni senza scadere irreparabilmente nel manierismo più bolso?" Secondo Respinti il fantasy odierno non ha ancora dato una risposta a questo dilemma. La soluzione da lui indicata sarebbe quella dell'indifferenza: "considerare il fantasy a prescindere dal suo perarltro ineliminabile sfondo tolkieniano" soffermandosi sui meriti e i demeriti delle singole opere. Paradossalmente, il fantasy può sopravvivere solo se ignora Tolkien.
Lo stesso Tolkien ammette di aver letto e apprezzato ben poco dei romanzi che poi saranno definiti fantasy. Eppure non si può immaginare Tolkien come estraneo al genere. Le radici della sua opera vanno ricercate nella tradizione che comprende il poema anonimo del VII sec. Beowulf, l'Edda in prosa composta nel XIII sec. dall'islandese Snorri Sturluson (e dalla quale Tolkien prese i nomi per i nani del suo Lo Hobbit), e perfino le fiabe dell'Europa nordoccidentale raccolte dai fratelli Grimm tra Settecento e Ottocento. A proposito di fiabe, pare che Tolkien non apprezzò molto Alice nel paese delle meraviglie, a differenza di Peter Pan di Barrie che pare segnò molto la sua formazione di scrittore. C'è anche chi ha accostato Il Signore degli Anelli all'Anello dei Nibelunghi wagneriano, ma a tal proposito Tolkien stesso smentì il parallelismo dicendo che "entrambi gli anelli sono rotondi, questa è l'unica rassomiglianza".
Non bisogna dimenticare che Tolkien, oltre che ricevere, esercitò anche una grande influenza su tutta una schiera di scrittori, da Ursula K.Le Guin a Terry Pratchett, Poul Anderson, Harry Turledove, ecc. In questo senso possiamo dire che davvero il fantasy è nato con Tolkien.

Ma l'opera di Tolkien non si esaurisce tutta in un gioco di influenze reciproche. Lo scopo primario dello scrittore fu quello di creare un'intera mitologia per il suo paese, quell'Inghilterra che amava tanto e che secondo lui scarseggiava di storie di questo tipo; egli inoltre auspicava che queste storie potessero assumere poi validità universale. A tal proposito Tolkien diceva:

Io pretenderei, se non pensassi che fosse presuntuoso da parte di una persona così mal istruita, di avere come obiettivo quello di dimostrare la verità e di incoraggiare i buoni principi in questo nostro mondo, attraverso l'antico espediente di esemplificarli attraverso personificazioni diverse, che alla fine tendono a farli capire.

Concludo citando Respinti:

Quando prese e si mise a scrivere, l'uomo Tolkien scoprì Tolkien lo scrittore. E lo lasciò fare. E Tolkien lo scrittore fece ciò che sapeva fare magistralmente, cioè l'uomo.


*Saggio di Marco Respinti.

2 {COMMENTI}:

Alessandro "Okamis" Canella ha detto...

Nell'attuale momento di disperazione causato dal crollo dei server di Hello Web (gran bell'esordio per il mio sito >_<), il tuo articolo mi ha fatto tornare il buon umore. Non certo perchè hai scritto castronerie (tutt'altro), quanto perché sei andata a ripescare un volumetto che ebbi il piacere di leggere anch'io alcuni anni orsono. Non hai idea di quante volte mi sia trovato a discute con molti "lettori della domenica", cercando di far loro capire che qualsiasi interpretazione allegorica dei romanzi di Tolkien fosse quanto di più sbagliato possibile. Spesso si fa infatti l'errore di pensare che, vista l'amicizia che legava Tolkien a Lewis, i loro libri andrebbero interpretati con lo stesso metro. Addirittura, all'uscita del cinema, quando andai a vedere "Il ritorno del re", un ragazzo si pavoneggiava con alcune amiche sostenendo che Frodo rappresenterebbe il messia all'internon della storia. No comment...

PS: Ti segnalo solo un piccolo errore di battitura nella prima citazione della prima parte: non è "tempo", ma "temo" ;)

Anonimo ha detto...

Sì, ho appena notato che il server del tuo sito è andato a farsi benedire... :-(

Quanto all'articolo e a Frodo visto come Messia, proprio in questa parte c'era anche scritto che Tolkien pur essendo cristianissimo ha voluto attingere a una tradizione pagana. Perfino io stessa ero convinta che Dio avesse molto da spartire col Signore degli Anelli. Continuando con la lettura di questo "Albero" di Tolkien avrò modo di ricredermi ulteriorimente.

Ho corretto l'errore, grazie mille!