domenica 31 agosto 2008

Primo centenario de "Le storie infinite"!

Non posso quasi crederci!
Un giorno apri un sito, così, su due piedi... e dopo poco te lo ritrovi già vecchio di 100 visite!

Le storie infinite inizia a camminare a testa alta... mio piccolo pargolo remissus et humilis...

Grazie di cuore a chiunque abbia voluto sprecare un po' del proprio tempo per lasciare un commento qui (e, ovviamente, grazie doppiamente a chi continuerà a farlo! :-P).


Auguri!
(cento di questi post, possibilmente più seri e utili però...)

sabato 30 agosto 2008

Libri in arrivo (e un Barbiere diabolico)

Giusto oggi mi sono decisa ad ordinare tramite IBS alcuni dei libri sul Medioevo consigliatimi da Carraronan, nel dettaglio:

- Le città del Medioevo, di Pierre Henri;

- Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo, di Aldo Settia;

- La vita quotidiana nel Medioevo, di Robert Delort.


Fortunatamente sono tutti e tre in offerta, quindi la spesa non è stata neanche preoccupante. Prometto a me stessa di studiarli con dedizione (sarà il mio primo studio storico in questo senso); voglio avere idee chiare e acquisire un bagaglio culturale saldo dei vari argomenti. E' vero che non potrò certo competere con un laureato in Storia medievale - non lo pretenderei mai - però bisogna sempre iniziare da qualcosa no? Dopotutto sono un'ignorante.

A proposito, sul forum di FantasyMagazine si consuma da giorni un'interessante discussione su "imparare a scrivere fantasy" che ha finito per slittare al tema "metodi di scrittura". In particolare, io sono di quella schiera dei "tramosi" (così definiti dall'utente Curufin), ossia coloro che considerano seriamente il piacere e la necessità di approntare per bene la trama e l'ambientazione delle loro opere prima di metter mano alla tastiera/penna. Questo studio su aspetti socio-politico-economici del Medioevo rientrerà, per me, proprio in questa direzione di lavoro.

Se la mia determinazione nello studio è ferrea, ahimè, non sono altrettanto convinta - paradossalmente - della strada intrapresa. Non perchè io creda che il metodo che sto adottando sia sbagliato (o meglio: non adatto a me)... semmai è che, come sempre, non so se sarò all'altezza... Vorrei svegliarmi domani e sapere che sono già riuscita a produrre un'opera che vale qualcosa e che sì, ho fatto bene a studiare e metterci tanta passione...

Di recente ho visto un film, "Cambia la tua vita con un click": chi l'ha visto potrà dare torto a questa mio ultimo desiderio. Anche se avessimo un telecomando multifunzione capace di farci andare avanti e indietro nella nostra vita, nulla varrebbe la pena di usarlo, perchè ogni secondo, ogni esperienza, sono preziosi.


P.S. Il Barbiere diabolico del titolo è il riferimento al film che ho visto ieri: Sweeny Todd. Il diabolico barbiere di Fleet Street.
Che dire? Amo Johnny Depp dai tempi di Edward mani di forbice... Però questa volta il finale mi ha lasciato l'amaro in bocca. Forse, però, ciò era proprio nelle intenzioni di Tim Burton: la storia del signor Todd è una meravigliosa tragedia.

lunedì 25 agosto 2008

Eccellente concertazione

ATTENZIONE: contiene spoiler su Maree di Mezzanotte.

Il vecchio palazzo, che presto sarebbe stato abbandonato in favore dell’Eterno Domicilio, era appollaiato su una collina concava; l’edificio vero e proprio era a un centinaio di passi dalle rive del fiume. Parti di un alto muro indicavano che, un tempo, a estendersi dal palazzo al fiume, c’era stato un recinto, con un’accozzaglia di strutture efficacemente isolate dal resto della città.
[…] La zona, per quanto non più rinchiusa, veniva solitamente evitata. La terra stessa non valeva nulla, a causa di un editto reale vecchio di sei secoli che vietava la demolizione delle antiche strutture, e i successivi insediamenti.
[…] Ma i lettori esperti delle mattonelle delle Fortezze conoscevano bene il significato di quella torre pendente, tozza, quadrata, con il suo terreno invaso dalla vegetazione. E anche delle abitazioni Jaghut, rappresentative com’erano della Fortezza di Ghiaccio. Molti sostenevano che la Torre dell’Azath fosse stata la primissima struttura dell’Azath in questo mondo.
Dalla sua nuova prospettiva, Shurq Elalle era meno scettica di quanto non avesse potuto essere in passato. Il terreno intorno alla malconcia torre di pietra grigia esercitava un minaccioso richiamo su di lei. Lì c’erano suoi parenti, ma non di sangue. No, quella era la famiglia dei non-morti, di coloro che non potevano o non volevano cedere all’oblio. Per chi era interrato nella terra grumosa, venata di argilla intorno alla torre, le tombe erano prigioni. La Torre dell’Azath non rinunciava ai suoi figli.
Sentiva anche che sepolte lì c’erano creature viventi, per lo più condotte alla follia da secoli e secoli di immobilità forzata tra antiche radici. Altre rimanevano cupamente immobili e silenziose, come in attesa della fine dell’eternità.
La ladra si avvicinò al terreno proibito dietro il palazzo. Vedeva la Torre dell’Azath, il cui terzo e ultimo piano si innalzava sopra le pareti curve delle abitazioni Jaghut. Nessuna delle strutture si ergeva completamente dritta. […]
Non aveva bisogno di vedere la pista di sangue. L’odore aleggiava pesantemente nell’aria afosa della notte; ne seguì la scia fino ad arrivare al muro basso che circondava la Torre dell’Azath.
Appena al di là, alla base di un albero storto, sedeva la bambina di nome Kettle. Nove o dieci anni… per sempre. Nuda, la pelle chiara sporca, i lunghi capelli intrisi di coaguli di sangue. Il cadavere davanti a lei era già mezzo sottoterra; veniva risucchiato giù verso l’oscurità. Per nutrire l’Azath? O qualche abitante affamato? Shurq non ne aveva idea. E non le importava. Il terreno inghiottiva i corpi, e questa era una cosa utile.
Kettle alzò lo sguardo; gli occhi scuri riflettevano, opaca, la luce delle stelle. Erano coperti da una spessa pellicola e da muffe che, se non curate, avrebbero potuto accecare la bambina. Questa si alzò lentamente; andò a raggiungere Shurq.
«Perché non vuoi essere mia madre?»
«Te l’ho già detto, Kettle. Non sono la madre di nessuno.»
«Stanotte ti ho seguito.»
«Mi segui di continuo.»
«Non appena hai lasciato quel tetto, un altro uomo è arrivato nella casa. Un soldato. Ed era seguito.»
«E chi dei due hai ucciso?»
«Quello che seguiva, naturalmente. Sono una brava bambina. Mi prendo cura di te. Proprio come tu ti prendi cura di me…»
«Io non mi prendo cura di nessuno, Kettle. Tu eri morta molto prima che io lo diventassi. Vivevi su questo terreno. Ti portavo dei corpi.»
«Mai abbastanza.»
«Non mi piace uccidere. Lo faccio solo quando non ho scelta. E poi, non ero l’unica a usare i tuoi servigi.»
«Sì, invece.»
Shurq fissò la bambina per un lungo attimo. «Davvero?»
«Sì. E volevi conoscere la mia storia. Tutti gli altri mi evitano, proprio come evitano te. A parte quell’uomo sul tetto. È anche lui uno diverso da tutti?»
«Non lo so, Kettle. Ma ora lavoro per lui.»
«Ne sono contenta. Gli adulti devono lavorare; il lavoro riempie la mente. Le menti vuote non vanno bene; sono pericolose. Si riempiono da sole, di cose cattive. E nessuno è felice.» Shurq inclinò la testa. «Chi non è felice?»
Kettle agitò una mano sudicia verso il cortile in dissesto. «Irrequieti. Tutti quanti. Non so perché. La torre suda tutto il tempo.»
«Ti porterò dell’acqua salata», annunciò Shurq, «per gli occhi. Devi lavarli».
«Vedo bene. E non solo con gli occhi, ora. La mia pelle vede. E gusta. E sogna la luce.» «Che cosa intendi dire?»
Kettle si scostò dal viso a cuore ciocche di capelli insanguinate. «Cinque cercano di uscire. Non mi piacciono quei cinque; non mi piace la maggior parte di loro, ma specialmente quei cinque. Le radici stanno morendo. Non so cosa fare. Mormorano di come mi faranno a pezzi. Presto. Non voglio essere fatta a pezzi. Cosa devo fare?»
Shurq rimase in silenzio per un po’. Poi chiese: «Quanto percepisci dei Sepolti, Kettle?» «La maggior parte non mi parla; sono impazziti. Altri mi odiano perché non li aiuto. Alcuni pregano e supplicano. Parlano attraverso le radici.»
«Ce ne sono che non ti dicono niente?»
«Alcuni stanno sempre muti.»
«Parlagli. Trova qualcun altro con cui parlare, Kettle. Qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarti.» Qualcun altro che ti faccia da madre… o da padre. «Chiedi opinioni, su qualunque argomento. Se ne rimane uno che non cerca di compiacerti, che non tenta di manipolare i tuoi desideri per essere liberato, e che non prova lealtà per gli altri, dovrai dirmi di lui. Tutto quello che sai. E io ti consiglierò come meglio potrò… non come una madre, ma come una compagna.»
«D’accordo.»
«Bene. Ora, sono venuta qui per un’altra ragione, Kettle. Voglio sapere: come hai ucciso quella spia?»
«Gli ho azzannato la gola. È il modo più rapido, e mi piace il sangue.»
«Perché ti piace?»
«Il sangue nei capelli mi aiuta a tenerli lontani dal viso. E odora di vita, non trovi? Mi piace quell’odore.»
«Quanti ne uccidi?»
«Tanti. Il terreno ne ha bisogno.»
«Perché il terreno ne ha bisogno?»
«Perché sta morendo.»
«Morendo? E cosa succederà se muore, Kettle?»
«Tutto verrà fuori.»
«Oh.»
«Mi piace questo posto.»
«Kettle, d’ora in poi», concluse Shurq, «ti dirò io chi uccidere… non preoccuparti, dovrebbero essercene molti».
«Va bene. Gentile da parte tua.»

Fra le centinaia di creature sepolte nel terreno dell’Azath, solo una era in grado do ascoltare la conversazione fra le due non-morte in superficie. L’Azath stava abbandonando la sua morsa su quell’abitante, non per debolezza, ma per necessità. Il Guardiano era tutt’altro che pronto: forse non lo sarebbe stato mai.
[…] La Torre dell’Azath stava davvero morendo. E la disperazione costringeva ad avventurarsi su sentieri mai percorsi.
Tra tutti i prigionieri, era stata fatta una scelta. E i preparativi erano in corso, lenti come l’infiltrarsi delle radici nella pietra, ma altrettanto inesorabili. Tuttavia, c’era pochissimo tempo.
L’urgenza era un grido silenzioso che strappava sangue alla Torre dell’Azath. Cinque creature, simili tra loro, catturate e tenute prigioniere dai tempi dei K’Chain Che’Malle, avevano quasi raggiunto la superficie.
E ciò non era un bene, poiché erano Toblakai.

Questo passaggio - tratto da Maree di Mezzanotte di Erikson, che sto ancora leggendo - mi ha colpita: vi rintraccio un'eccellente concertazione. E' un passaggio chiuso e aperto allo stesso tempo, compiuto, essenziale ma non privo di dettagli significativi.

Analisi
L'estratto si apre con uno scenario: la Torre dell'Azath e dintorni. Della zona ci viene detto quanto basta per farci intendere che non è un luogo dall'aspetto rassicurante e che cela sicuramente qualche mistero. Infatti andando avanti scopriamo che il terreno, qui, mangia i morti. Il perchè fa ovviamente parte del mistero (e non è detto che Erikson, più avanti, lo sveli).
Dopo la descrizione iniziale, che ci ha offerto una visione d'insieme, l'obiettivo immaginario della telecamera si restringe e focalizza su uno dei due personaggi protagonisti di questo passaggio: Shurq Elalle, una sorta di non-morta con una storia alle spalle che ha dell'incredibile e che non starò qui a citare. Poco dopo, eccoci mostrata Kettle, l'inquietante bambina che scopriremo si occupa di fornire al terreno dell'Azath i cadaveri di cui ha bisogno.
Segue il dialogo tra Shurq e Kettle: gli interrogativi di Shurq mantengono quella razionalità che in Kettle vacilla, tanto che le risposte della bambina sono reticenti e allucinate; tuttavia ci vengono fornite delle informazioni che ci permettono perfino di capire qual è il particolare rapporto tra le due (il disperato desiderio d'affetto della bambina, che forse è lo stesso di Shurq, sebbene lei non voglia ammetterlo neanche a se stessa...). E' incredibile quanto possa contenere, d'importante, un solo breve dialogo!
Infine, il mistero che s'infittisce - il terreno si sta indebolendo e quando cederà "Tutto verrà fuori" - e il disvelamento finale: dalla terra-prigione risalgono alla superficie cinque creature. Il fatto che siano Toblakai non lascia presagire nulla di buono.

lunedì 18 agosto 2008

"Albero" di Tolkien

Inizio oggi la trattazione di questo testo scovato per caso in una libreria.
Sicuramente un insieme di saggi approfonditi su Tolkien era proprio ciò di cui abbisognavo, poichè finora di Tolkien sapevo solo che scrisse Il Signore degli Anelli e poco altro; ho ovviamente visto la trilogia di film di P.Jackson e letto per intero l'opera, ma questo è accaduto già troppo tempo fa e dunque mi riprometto di rileggere Il Signore degli Anelli un giorno o l'altro.

Ma veniamo al testo in questione: curato da Gianfranco De Turris, comprende un insieme di saggi di svariati autori.
Intanto, il titolo: come spiega De Turris nell'Introduzione, l'immagine dell'albero non è frutto di una scelta casuale. Tolkien stesso amava gli alberi, tanto che essi nella sua opera diventano creature viventi (gli Ent). Ma vi sono anche dei luoghi comuni legati all'albero: uno è quello che vede la mente come terriccio fertile dove le idee mettono radici e germogliano; la metafora dell'albero è stata molto inflazionata anche nell'ambito della narrativa tradizionale, infatti si parla dell'albero del mito, l'albero delle storie, l'albero delle fiabe. Tornando a Tolkien, egli stesso scrisse un racconto intitolato "Foglia" di Niggle, il cui titolo appunto viene parafrasato dal testo in esame: si trattava della storia di un pittore eternamente insoddisfatto del quadro che stava dipingendo. Il soggetto del quadro era guarda caso una foglia. L'analogia: come il pittore apportava continuamente modifiche al proprio quadro, così lo scrittore era perennemente insoddisfatto del suo narrare.


Tolkien politicizzato

Come afferma De Turris ancora nell'Introduzione:
Vi sono di certo libri che hanno una vera diffusione universale da la Bibbia a Pinocchio [...] e tutti si possono definire, con un termine tecnico, long sellers.

Il Signore degli Anelli rientrerebbe proprio in questa categoria. Non solo: quest'opera ha riscosso un successo universale che è andato al di là delle ideologie e dei confini geografici, poichè si basa su valori profondi e attinge ai miti, che non hanno colori e non tramontano mai.

Secondo De Turris la critica italiana per lungo tempo si è limitata a sottolineare i soliti aspetti della produzione tolkieniana - forse quelli che più le facevano comodo - senza approfondire veramente il perchè di tanto successo. Questo - sempre secondo l'autore - perchè la cultura italiana è stata fortemente influenzata da un approccio "realista/razionalista/progressista", retaggio dell'ultimo mezzo secolo e che ha investito i campi della narrativa, della poesia, del cinema e del teatro, fino ai fumetti e alla musica leggera. Questo approccio comportava il rifiuto di tutto ciò che era ritenuto pericolosamente evasivo, a favore invece di un'analisi critica del reale. Ecco perchè una serie di opere sono state condannate come "irrazionali", "evasive", e in ultima analisi "negative" (anche e soprattutto perchè esse evocavano un periodo visto come "oscuro", il Medioevo appunto). De Turris chiama questo atteggiamento "di sinistra". Opposto ad esso, il versante cosìddetto "di destra", che invece vedeva l'immaginario moderno come semplice espressione moderna di antiche figure fondamentali del mito, e che dunque apprezzò l'opera tolkieniana in questo senso.
Questa bipartizione portò addirittura gli intellettuali "di sinistra" a definire Tolkien "fascista", sulla base del potente sillogismo: "Destra uguale fascismo, i fascisti leggono Tolkien, Tolkien è fascista". Tutto ciò nonostante Tolkien stesso avesse sempre rifiutato una visione allegorica della sua narrativa, favorendo piuttosto la visione simbolica.


Parte I - Le Radici
Nel segno di Snorri. Le fonti letterarie di J. R. R. Tolkien*

Un giorno L[ewis] mi disse: "Tollers, ci sono troppo pochi racconti che ci piacciono. Temo che dovremo provare a scrivere qualcosa noi".

Nell'accostarsi alla narrativa Tolkien fu spinto fondamentalmente dall'interesse linguistico e filologico. Egli stesso voleva che la sua opera venisse inquadrata in questo modo:

I racconti immaginari nacquero dalla predilezione di Tolkien per l'invenzione dei linguaggi. Egli scoprì, come tutti quelli che sviluppavano questo tipo di invenzioni, che un linguaggio richiede un'ambientazione adatta, e una storia in cui possa svilupparsi.

Sarà che ho di recente sostenuto l'esame di Filosofia e teoria dei linguaggi, ma questa citazione accende nella mia mente più lampadine: tra queste, l'idea che Wittgenstein aveva di linguaggio. Egli lo definì come "gioco linguistico" ed il significato come "uso", ponendo l'accento sul legame imprescindibile tra linguaggio e contesto (dunque nel nostro caso linguaggio e "ambientazione"). Per spiegare il concetto Wittgenstein fa l'esempio del leone: egli dice che quand'anche un leone potesse parlare, noi non potremmo mai comprenderlo; ma non perchè il leone parlerebbe un altro linguaggio, bensì perchè noi non potremo mai capire qual'è la forma di vita di un leone. Infatti noi possiamo solo immaginare come viva un leone. Ed è questo scarto ineliminabile tra mondo umano e mondo animale (dovuto a quello che Aristotele chiamava logos, il discorso, o la ratio latina, posseduti dagli uomini e non dagli animali) la causa della nostra impossibilità di comprendere un leone nella situazione ipotetica appena esposta.
Ma torniamo a Tolkien.
Il professore di Oxford, com'è risaputo, è stato consacrato come padre fondatore del genere fantasy. Per chiunque si cimenti nella scrittura fantasy, la lettura di Tolkien sembra un passaggio obbligato. L'eredità di Tolkien è così forte da risultare quasi ingombrante, tanto che viene da chiedersi: che tipo di fantasy dopo Tolkien? L'opera tolkieniana è infatti un corpus in se compiuto, fatto di cosmologia, mitologia, epica e storia. "Come poterne fare, dunque, un genere letterario con tanto di codici e di canoni senza scadere irreparabilmente nel manierismo più bolso?" Secondo Respinti il fantasy odierno non ha ancora dato una risposta a questo dilemma. La soluzione da lui indicata sarebbe quella dell'indifferenza: "considerare il fantasy a prescindere dal suo perarltro ineliminabile sfondo tolkieniano" soffermandosi sui meriti e i demeriti delle singole opere. Paradossalmente, il fantasy può sopravvivere solo se ignora Tolkien.
Lo stesso Tolkien ammette di aver letto e apprezzato ben poco dei romanzi che poi saranno definiti fantasy. Eppure non si può immaginare Tolkien come estraneo al genere. Le radici della sua opera vanno ricercate nella tradizione che comprende il poema anonimo del VII sec. Beowulf, l'Edda in prosa composta nel XIII sec. dall'islandese Snorri Sturluson (e dalla quale Tolkien prese i nomi per i nani del suo Lo Hobbit), e perfino le fiabe dell'Europa nordoccidentale raccolte dai fratelli Grimm tra Settecento e Ottocento. A proposito di fiabe, pare che Tolkien non apprezzò molto Alice nel paese delle meraviglie, a differenza di Peter Pan di Barrie che pare segnò molto la sua formazione di scrittore. C'è anche chi ha accostato Il Signore degli Anelli all'Anello dei Nibelunghi wagneriano, ma a tal proposito Tolkien stesso smentì il parallelismo dicendo che "entrambi gli anelli sono rotondi, questa è l'unica rassomiglianza".
Non bisogna dimenticare che Tolkien, oltre che ricevere, esercitò anche una grande influenza su tutta una schiera di scrittori, da Ursula K.Le Guin a Terry Pratchett, Poul Anderson, Harry Turledove, ecc. In questo senso possiamo dire che davvero il fantasy è nato con Tolkien.

Ma l'opera di Tolkien non si esaurisce tutta in un gioco di influenze reciproche. Lo scopo primario dello scrittore fu quello di creare un'intera mitologia per il suo paese, quell'Inghilterra che amava tanto e che secondo lui scarseggiava di storie di questo tipo; egli inoltre auspicava che queste storie potessero assumere poi validità universale. A tal proposito Tolkien diceva:

Io pretenderei, se non pensassi che fosse presuntuoso da parte di una persona così mal istruita, di avere come obiettivo quello di dimostrare la verità e di incoraggiare i buoni principi in questo nostro mondo, attraverso l'antico espediente di esemplificarli attraverso personificazioni diverse, che alla fine tendono a farli capire.

Concludo citando Respinti:

Quando prese e si mise a scrivere, l'uomo Tolkien scoprì Tolkien lo scrittore. E lo lasciò fare. E Tolkien lo scrittore fece ciò che sapeva fare magistralmente, cioè l'uomo.


*Saggio di Marco Respinti.

domenica 17 agosto 2008

Prodigi digitali (post ad alto contenuto inutile)

Da vecchia accanita di html non potevo esimermi dallo smanettare il layout di questo blog. Dopo ricerche ed ore insonni, sono riuscita a capire il funzionamento dei templates di Blogger et voilà, un nuovo look per Le storie infinite.

P.S. Questo post è puramente inutile. Mi serviva soltanto a inaugurare il nuovo style :-P

sabato 16 agosto 2008

Preview

Cerco di fare il punto della situazione sulle mie impressioni iniziali circa i tre romanzi comprati di recente.

Gli inganni di Locke Lamora (Scott Lynch)
Buonissima impressione.
Premessa: io sbavo per i personaggi di strada e le atmosfere malsane tipo Corte dei Miracoli/zingari/ladriassassinibarboni/gentaccia. Poi apprezzo molto il realismo dei dialoghi, quando sono comprese anche scurrilità e bestemmie (sempre se sono giustificate dal background dei personaggi che le pronunciano!).
Che dire, visto l'inizio credo sarà un libro frizzante e coinvolgente.

Maree di mezzanotte (Steven Erikson)
Eh, Erikson si commenta da solo. Erikson è Erikson, ragazzi, punto.
Se proprio devo dire qualcosa... diciamo che tra quelli già letti ho apprezzato leggermente di più I giardini della Luna e La dimora fantasma, in quanto queste Maree si incentrano sullo scontro tra due civiltà (Letherii e Tiste Edur) che, come recita la quarta di copertina, richiamano il nostro mondo per stili di vita ed economia: aspetti, quest'ultimi, che non mi entusiasmano molto. In ogni caso anche in questo romanzo c'è tutto Erikson, con tanto di dèi impiccioni, ascendenti e canali vari. Mi aspetto grandi cose.

Il trono di spade (George R. R. Martin)
Ahi, ahi, ahi... e qui casca l'asino.
Dico: ma che c'avrà mai stò Martin per esser così osannato?
Sono solo ai primi capitoli del romanzo e quindi il mio commento non è molto attendibile, ma mi permetto di dire che se il buon giorno si vede dal mattino io prevedo cieli scuri e forti raffiche di vento! Da qualche parte ho letto che Martin = soap opera: cavoli, è vero! Intanto non ci siamo proprio che mi si narri di vicende di nobiluomini e nobildonne: il mistero della Barriera e degli Estranei poteva anche destare curiosità, ma a me delle pseudoavventure di quattro rampolli di nobili casate non frega un accidenti! E poi qui mi vengono sottratte anche le sacrosante frasi in corsivo esprimenti i pensieri dei personaggi (come in Erikson)! No, no, caro Martin non ci siamo proprio.
Se continua così, almeno, dovrò rimpiangere una cifretta irrisoria: sempre meglio rimpiangere 8 euro che i 17 euro di Un nuovo regno!

lunedì 11 agosto 2008

Quarantottoeuroecinquantacentesimi.

Questa la modica spesa per l'acquisto di tre libri, di cui uno almeno so che merita davvero, ossia Maree di Mezzanotte, quinto volume - secondo la ripartizione effettuata da Armenia, che ha diviso in due Memorie di Ghiaccio - della saga eriksoniana del Libro Malazan dei caduti.

Gli altri due sono:

- Gli inganni di Locke Lamora, di Scott Lynch, sul quale ho letto pareri entusiastici;

- Il trono di spade, di George R. R. Martin, osannato da parecchi.

E adesso... bisogna trovare il tempo (settembre con la ripresa delle attività universitarie è inevitabilmente vicino).

sabato 9 agosto 2008

Ogni scrittore forgia la sua spada

Se c'è una cosa che ho capito in un anno di "progettazione mentale" (come la chiamo io) è che ogni scrittore crea per sè il proprio metodo di scrittura e ideazione. E' come se un cavaliere si forgiasse la spada da solo: la sua spada avrebbe tutti i sacri crismi, sarebbe adatta a lui e lui solo. Ecco, ogni scrittore forgia la sua spada. Forse la metafora è un po' forzata, perchè in realtà lo scrittore ha già una moltitudine di armi a propria disposizione: artifici retorici, tecniche di narrazione, ampia scelta di punti vista, ecc.; più esattamente, ciò che egli veramente crea è il proprio modo di servirsene. Comunque, il fatto è che ho capito che non esistono trucchi del mestiere validi per tutti nè asserzioni universali in fatto di metodi di scrittura.

L'ho capito perchè l'ho vissuto sulla mia pelle: dopo un'esperienza di non-metodo, dove mi sono gettata a briglie sciolte sul foglio bianco (quel che nè è risultato era carta straccia), ho capito che dovevo autodisciplinarmi. Devo dire che non è stato facile: non per la disciplina, giacchè io sono una persona ossessivamente ordinata e schematica; semmai per il fatto che dovermi fermare, mettere punto e a capo per iniziare a porre delle solide basi al mio lavoro, mi scoraggiava: avevo il timore (e ce l'ho tutt'ora) che quando avessi finito di "pianificare" (magari prima di raggiungere gli enta... e ora ne ho venti) e mi fossi trovata davanti al famoso foglio bianco, ecco, mi sarei scoperta improvvisamente e tragicamente incapace, spenta nella mia passione creativa.

Qualche giorno fa, invece, è successo qualcosa che mi ha dato nuove speranze: stanca di schizzare mappe, ideare nomi, calendari e sistemi monetari del mio mondo fantastico, ho iniziato a stilare una scaletta di capitoli del primo libro del mio progetto fantasy (che per ora ne comprende quattro). Beh, in un paio d'ore sono arrivata al capitolo quindicesimo: direi un buonissimo risultato; se non altro perchè d'un tratto i buchi neri della mia mente si sono illuminati, e i punti dai quali la mia trama perdeva acqua si sono meravigliosamente tappati. Tutto veniva a combaciare, infine. Questo cosa può voler dire? Vediamo:

a) Il mio genio creativo è sbocciato e d'ora in poi sarà tutto un climax ascendente che si concluderà con la stesura di un romanzo fantasy degno di reggere il confronto con la buon'anima di Tolkien;

b) Non sono una cerebrolesa e dunque sono riuscita a stendere una parte di trama decente come vi riuscirebbe un qualsiasi bambino di quinta elementare;

c) Se continuo così forse ho qualche possibilità di riuscire a ideare e scrivere un romanzo che valga la pena di essere letto.

Scartando gli estremismi, propenderei per l'ultima ipotesi... giusto perchè in tutto il resto delle cose della vita adotto sempre un atteggiamento fortemente pessimista (per non dire nichilista).

Staremo a vedere, magari un giorno potrò scorgere il mio nome in libreria e questo blog diverrà strafamoso...


Il sipario si chiude e in sottofondo parte una musichetta che fa:
"I sogni son desideri... di felicità...".

mercoledì 6 agosto 2008

La (non) utilità della Guerra

Fra i tanti miei dilemmi legati alla scrittura fantasy ve n'è uno che mi ronza in testa in questi giorni: un romanzo fantasy in cui non si descrivono scene di guerra (intendo scene di massa, non i semplici duelli) è da considerarsi in qualche modo "monco"?

La questione sorge dalla mia totale indifferenza al tema bellico. Credo sia proprio il fatto che in un romanzo fantasy le parti che descrivono scene belliche mi annoiano la causa della mia ignoranza in materia di dinamiche e strategie di guerra.

Ho pensato che per rimediare potrei sempre sorbirmi un bel manuale inerente, ma non so se questa sia poi veramente una via d'uscita: potrò imparare teoricamente tutte le tecniche d'attacco/difesa esistenti, ma nulla di tutto ciò mi infonderà la passione per l'argomento.

Dunque? Che fare? Rinunciare a priori di scrivere un romanzo fantasy a causa di uno di questi miei limiti?
Sinceramente non credo ne valga la pena. Volendomi consolare, ho pensato a ciò che ho letto di Erikson, cioè I giardini della luna e La dimora fantasma. Nel primo tomo non ci sono scene di guerra, se ricordo bene; al massimo scontri brevi che coinvolgono pochi elementi. Nel secondo libro, invece, l'apice della qualità è costituito proprio dalle vicende della cosiddetta Catena dei Cani di Coltaine e della lotta dei soldati dell'Imperatrice Laseen per contrastare la rivolta dell'Apocalisse. Ora, entrambi i libri sono meravigliosi (secondo il mio personale gusto); eppure uno tratta di guerra e l'altro no. Quindi si può scrivere un romanzo fantasy godibilissimo senza per forza infilarci assedi, arti mozzati e cozzare di scudi.

Beh, mettendola così direi che ho scoperto l'acqua calda! Infondo ci sono tantissime varianti del genere fantasy (a tal proposito dovrò erudirmi)... tante quanti sono i gusti dei lettori. Io potrò anche essere una schiappa quanto a materia bellica, ma mi ritengo almeno moderatamente capace nella descrizione di altre guerre: quelle psicologiche, che si consumano nel profondo antro oscuro degli animi dei personaggi.

lunedì 4 agosto 2008

Il Segreto di Krune - Michele Giannone

Titolo: Il segreto di Krune

Autore: Michele Giannone

Edito da: Dario Flaccovio Editore

Anno: 2007

Pagine: 496

Prezzo: 18,00 euro


Voto: 5/10


Ieri ho terminato la lettura de Il segreto di Krune. Devo essere sincera? Una delusione.

La Trama
Il soggetto è originale
e anche l'ambientazione, se non fosse che se ne vede ben poca e descritta vagamente. In ogni caso la società del Matriarcato è una delle cose che salvo in questo romanzo, giusto per il fatto di non essere qualcosa di trito e ritrito.

Lo Stile
Chiaro, conciso, veloce
. Ma qui potremmo già iniziare con le note dolenti: per i miei gusti questo stile è anche troppo veloce, spezzettato... provoca il singhiozzo e mi dà i nervi! Ora, in un romanzo fortemente psicologico ed introspettivo una scrittura frammentata potrebbe anche starci, per rendere l'idea di un io discontinuo e lacerato... Ma continuiamo a leggere e...

I personaggi
... e noteremo che quanto ad approfondimento psicologico c'è di che piangere. Insomma, se i protagonisti - Mareq Tha e Jaat - lasciano a desiderare, è facile concludere che tutti gli altri personaggi hanno la sola dignità di essere comparse. Le varie vigilanti di Krune sono tutte uguali, sembrano degli automi: anche qui potremmo giustificare col fatto che in una società che non lascia spazio ai sentimenti e impone l'obbedienza cieca alla fede di Elle è d'obbligo che le persone siano omologate e anonime; ma allora l'autore avrebbe potuto calcare la mano in questo senso, sottolineando la totale disumanità di queste donne... avrei voluto vedere la freddezza nei loro occhi, la follia visionaria, il fanatismo, l'ardore di passioni represse, la violenza, la profonda angoscia. Invece... nulla di tutto ciò. I personaggi di Krune sono puri attanti, fantocci che eseguono azioni. Ma neanche le azioni sono tanto degne d'interesse! Motivo del fatto che il romanzo mi è risultato, nel complesso, molto noioso.

Altre imperfezioni...
Bisogna sottolineare anche che quasi tutto il romanzo è raccontato e non mostrato; che Jaat si massaggia il mento mentre parla non so quante migliaia di volte durante la narrazione; che non mi convince affatto come Mareq Tha, dopo aver superato gli iniziali ostacoli, si doni totalmente al suo uomo dagli occhi rossi, quasi avesse da sempre conosciuto l'amore...

Insomma, si vede che è l'opera prima di un esordiente. E si vede anche che è un romanzo che ha come protagonista una donna ma che è raccontato da un uomo... Ma non voglio fare critiche gratuite: apprezzo molto il fatto che Giannone abbia fatto questa scelta, perchè sarebbe stato sicuramente più facile immedesimarsi in un eroe maschio, invece la scelta dell'eroina è una sfida interessante e degna di encomio.


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domenica 3 agosto 2008

Accostamenti improbabili


Credo che si potrebbe avere qualcosa da dire (e ridire) sul fatto che in edicola troveremo accostati in una collana di classici I promessi sposi e il Kamasutra...


Il buon Manzoni - e la sua fede - starà rivoltandosi nella tomba!