lunedì 3 novembre 2008

Trasloco!

Nonostante a parer mio Splinder sia di una non-professionalità imbarazzante, in onore dei vecchi tempi (tempi in cui bastava conoscere un html grossolano per metter su una pagina web) Le Storie Infinite cambia casa, ed ecco il nuovo indirizzo:


Ho traslocato quasi tutti i vecchi articoli e prego coloro che hanno linkato il mio blog di aggiornare l'url, grazie mille.

Ah! Il layout è in testing, anche se pare comportarsi bene fino ad ora... perdonate eventuali disguidi.

Ci "vediamo" di là! ;-)

venerdì 24 ottobre 2008

La vita quotidiana nel Medioevo - Cap. I, parte I

Inauguro questa nuova rubrica che prende il nome proprio dal titolo del testo che sto leggendo: La vita quotidiana nel Medioevo, di R. Delort. La maggiorparte di questi articoli sarà forse più un riassunto che un'elaborazione personale ma spero possano comunque risultare utili a chi, come me, è ai primi approcci con questi argomenti. L'ideale sarebbe poter pubblicare un capitolo alla volta ma non credo ne avrò il tempo, perciò mi toccherà spezzettare il tutto in paragrafi, dunque scusate se il risultato finale di ogni articolo potrà apparire inconcludente.


Periodizzazione

Siccome non ho tanta voglia di impelagarmi in consultazioni storiche autorevoli, permettetemi di servirmi di quell’utilissimo strumento di consultazione enciclopedica che è Wikipedia:

Secondo la periodizzazione tradizionale della Storia
d'Europa
, che prevede quattro epoche, classica, medievale, moderna e contemporanea, il medioevo è il periodo il cui inizio viene collocato, per l'intera Europa, nel 476, cioè nell'anno che corrisponde alla deposizione dell'ultimo imperatore romano Romolo Augusto, e che segna la fine dell'Impero romano d'Occidente.Diversamente, la sua conclusione viene collocata in ciascun paese in date diverse, che coincidono con la nascita delle rispettive monarchie nazionali ed il periodo rinascimentale. Alcune date comunemente utilizzate sono il 1453, con la fine della guerra dei cent'anni tra Inghilterra e Francia e la presa di Costantinopoli da parte dei Turchi Ottomani; il 1492, con la conquista dell'ultimo baluardo islamico in Spagna e la scoperta delle Americhe da parte del genovese Cristoforo Colombo, ed il 1517, con la Riforma protestante.

Riassumendo ancora da Wikipedia: distinguiamo un Alto medioevo che va dal V al X secolo, un Medio medioevo (secoli XI-XII) e un Basso o Tardo medioevo, che si allunga fino al XV secolo.



Cap. I – L’uomo e l’ambiente
Introduzione

Uno dei motivi per cui si potrebbe rimpiangere il Medioevo è lo stretto contatto con la natura: infatti oggigiorno
«Tra l’uomo e l’ambiente si è frapposto un velo tecnologico che
serve da intermediario obbligatorio, impedendo praticamente qualunque contatto
diretto.»
Esempi di come l’uomo medievale fosse costantemente a contatto con la natura sono il suo rapporto con gli arnesi da lavoro: l’arma del boscaiolo contro gli alberi è la scure, quella del contadino contro il terreno è l’aratro trainato da bestie da tiro. E poi il freddo, la fame, la malattia, sono tutte fedeli compagne dell’uomo che si ritrova solo contro una natura difficile da domare. Da qui l’importanza di un discorso sull’ambiente per capire quanto il nostro mondo di oggi si differenzia da quello medievale.


L’ambiente medievale
Terra, mare, flora, fauna.

Sarebbe assurdo affermare che l’ambiente e i suoi organismi non abbiano subito modificazioni nel corso dei secoli; tuttavia, esse procedono così a rilento da passare inosservate. Tuttavia si sa che il terreno può essere sconvolto da terremoti e inondazioni e la faccia superficiale del mondo viene così stravolta. Il mare, ad esempio, scalza le scogliere e inghiotte foreste, terre coltivate, villaggi interi o li minaccia con una temporanea avanzata in tempi di tempesta o alta marea. Per quanto riguarda la flora, la maggior parte dell’Occidente medievale era ricoperto da foresta, una foresta rigogliosa che è nata o ha ripreso vigore in tempi freschi e umidi, all’epoca dei merovingi. La foresta era composta principalmente di alberi a foglia o conifere, poi rimpiazzate dai pini.
L’azione dell’uomo è stata sempre incisiva sulla flora, che ha distrutto con fuoco, dissodamento e il bestiame, e la rinascita di una foresta non avviene spontaneamente se non nelle regioni che le sono favorevoli.
La fauna dell’Occidente era leggermente diversa rispetto a quella conosciuta oggi, infatti alcuni animali diffusi nel Medioevo sono oggi scomparsi; in compenso, bestie molto comuni erano i lupi (che hanno inciso profondamente il Medioevo per numero e contatti con gli uomini), gli orsi (ben conosciuti da contadini e montanari che temono questa grossa bestia avida di miele) che sono però diminuiti sotto i colpi dei gran signori che sguinzagliavano contro di loro mastini addestrati a cacciarli; altri carnivori come la lince o il gatto selvatico non hanno potuto svilupparsi molto fin tanto che il lupo era re, ma il cinghiale, ad esempio, era molto comune e considerata la bestia più forte che ci fosse (poteva uccidere con un solo colpo del grugno). Altri animali hanno destato meno interesse perché sono state comuni fino al XX secolo: volpi, tassi, fagiani (apparsi forse all’inizio del Medioevo), lepri, caprioli, camosci, formiche, api.

giovedì 23 ottobre 2008

Avviso

Come qualche accidentale visitatore avrà di certo notato, Le Storie Infinite è in fase di trasformazione. In questo giorni il sito è in manutenzione, nell'attesa che io trovi una forma che mi soddisfi...

Scusate l'eventuale disagio.

domenica 14 settembre 2008

Cosa bolle in pentola?

Impegni universitari mi costringono all'assenza prolungata da questo mio piccolo antro di discussione.
Ma in dirittura d'arrivo c'è l'apertura di una nuova categoria d'articoli dove inserirò svariati argomenti sul Medioevo, traendoli dai tre libri che mi sono infine giunti tramite IBS: La vita quotidiana nel Medioevo; Le città del Medioevo; Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo.

In questo modo potrò tenere una sorta di breviario su quelle nozioni di cui necessito per il mio progetto fantasy, e al contempo renderò un servizio utile a chi, come me, soffre lacune in merito.
A presto dunque!

lunedì 1 settembre 2008

Sondaggino...

Ho aperto un sondaggio per avere dei pareri sulla veste grafica di questo blog. Lo trovate nel menù a destra.

Grazie a chiunque voterà.


P.S. Qualora la vostra opinione non rientrasse in alcune delle opzioni elencate, potete scriverla in un commento a questo post.

domenica 31 agosto 2008

Primo centenario de "Le storie infinite"!

Non posso quasi crederci!
Un giorno apri un sito, così, su due piedi... e dopo poco te lo ritrovi già vecchio di 100 visite!

Le storie infinite inizia a camminare a testa alta... mio piccolo pargolo remissus et humilis...

Grazie di cuore a chiunque abbia voluto sprecare un po' del proprio tempo per lasciare un commento qui (e, ovviamente, grazie doppiamente a chi continuerà a farlo! :-P).


Auguri!
(cento di questi post, possibilmente più seri e utili però...)

sabato 30 agosto 2008

Libri in arrivo (e un Barbiere diabolico)

Giusto oggi mi sono decisa ad ordinare tramite IBS alcuni dei libri sul Medioevo consigliatimi da Carraronan, nel dettaglio:

- Le città del Medioevo, di Pierre Henri;

- Rapine, assedi, battaglie. La guerra nel Medioevo, di Aldo Settia;

- La vita quotidiana nel Medioevo, di Robert Delort.


Fortunatamente sono tutti e tre in offerta, quindi la spesa non è stata neanche preoccupante. Prometto a me stessa di studiarli con dedizione (sarà il mio primo studio storico in questo senso); voglio avere idee chiare e acquisire un bagaglio culturale saldo dei vari argomenti. E' vero che non potrò certo competere con un laureato in Storia medievale - non lo pretenderei mai - però bisogna sempre iniziare da qualcosa no? Dopotutto sono un'ignorante.

A proposito, sul forum di FantasyMagazine si consuma da giorni un'interessante discussione su "imparare a scrivere fantasy" che ha finito per slittare al tema "metodi di scrittura". In particolare, io sono di quella schiera dei "tramosi" (così definiti dall'utente Curufin), ossia coloro che considerano seriamente il piacere e la necessità di approntare per bene la trama e l'ambientazione delle loro opere prima di metter mano alla tastiera/penna. Questo studio su aspetti socio-politico-economici del Medioevo rientrerà, per me, proprio in questa direzione di lavoro.

Se la mia determinazione nello studio è ferrea, ahimè, non sono altrettanto convinta - paradossalmente - della strada intrapresa. Non perchè io creda che il metodo che sto adottando sia sbagliato (o meglio: non adatto a me)... semmai è che, come sempre, non so se sarò all'altezza... Vorrei svegliarmi domani e sapere che sono già riuscita a produrre un'opera che vale qualcosa e che sì, ho fatto bene a studiare e metterci tanta passione...

Di recente ho visto un film, "Cambia la tua vita con un click": chi l'ha visto potrà dare torto a questa mio ultimo desiderio. Anche se avessimo un telecomando multifunzione capace di farci andare avanti e indietro nella nostra vita, nulla varrebbe la pena di usarlo, perchè ogni secondo, ogni esperienza, sono preziosi.


P.S. Il Barbiere diabolico del titolo è il riferimento al film che ho visto ieri: Sweeny Todd. Il diabolico barbiere di Fleet Street.
Che dire? Amo Johnny Depp dai tempi di Edward mani di forbice... Però questa volta il finale mi ha lasciato l'amaro in bocca. Forse, però, ciò era proprio nelle intenzioni di Tim Burton: la storia del signor Todd è una meravigliosa tragedia.

lunedì 25 agosto 2008

Eccellente concertazione

ATTENZIONE: contiene spoiler su Maree di Mezzanotte.

Il vecchio palazzo, che presto sarebbe stato abbandonato in favore dell’Eterno Domicilio, era appollaiato su una collina concava; l’edificio vero e proprio era a un centinaio di passi dalle rive del fiume. Parti di un alto muro indicavano che, un tempo, a estendersi dal palazzo al fiume, c’era stato un recinto, con un’accozzaglia di strutture efficacemente isolate dal resto della città.
[…] La zona, per quanto non più rinchiusa, veniva solitamente evitata. La terra stessa non valeva nulla, a causa di un editto reale vecchio di sei secoli che vietava la demolizione delle antiche strutture, e i successivi insediamenti.
[…] Ma i lettori esperti delle mattonelle delle Fortezze conoscevano bene il significato di quella torre pendente, tozza, quadrata, con il suo terreno invaso dalla vegetazione. E anche delle abitazioni Jaghut, rappresentative com’erano della Fortezza di Ghiaccio. Molti sostenevano che la Torre dell’Azath fosse stata la primissima struttura dell’Azath in questo mondo.
Dalla sua nuova prospettiva, Shurq Elalle era meno scettica di quanto non avesse potuto essere in passato. Il terreno intorno alla malconcia torre di pietra grigia esercitava un minaccioso richiamo su di lei. Lì c’erano suoi parenti, ma non di sangue. No, quella era la famiglia dei non-morti, di coloro che non potevano o non volevano cedere all’oblio. Per chi era interrato nella terra grumosa, venata di argilla intorno alla torre, le tombe erano prigioni. La Torre dell’Azath non rinunciava ai suoi figli.
Sentiva anche che sepolte lì c’erano creature viventi, per lo più condotte alla follia da secoli e secoli di immobilità forzata tra antiche radici. Altre rimanevano cupamente immobili e silenziose, come in attesa della fine dell’eternità.
La ladra si avvicinò al terreno proibito dietro il palazzo. Vedeva la Torre dell’Azath, il cui terzo e ultimo piano si innalzava sopra le pareti curve delle abitazioni Jaghut. Nessuna delle strutture si ergeva completamente dritta. […]
Non aveva bisogno di vedere la pista di sangue. L’odore aleggiava pesantemente nell’aria afosa della notte; ne seguì la scia fino ad arrivare al muro basso che circondava la Torre dell’Azath.
Appena al di là, alla base di un albero storto, sedeva la bambina di nome Kettle. Nove o dieci anni… per sempre. Nuda, la pelle chiara sporca, i lunghi capelli intrisi di coaguli di sangue. Il cadavere davanti a lei era già mezzo sottoterra; veniva risucchiato giù verso l’oscurità. Per nutrire l’Azath? O qualche abitante affamato? Shurq non ne aveva idea. E non le importava. Il terreno inghiottiva i corpi, e questa era una cosa utile.
Kettle alzò lo sguardo; gli occhi scuri riflettevano, opaca, la luce delle stelle. Erano coperti da una spessa pellicola e da muffe che, se non curate, avrebbero potuto accecare la bambina. Questa si alzò lentamente; andò a raggiungere Shurq.
«Perché non vuoi essere mia madre?»
«Te l’ho già detto, Kettle. Non sono la madre di nessuno.»
«Stanotte ti ho seguito.»
«Mi segui di continuo.»
«Non appena hai lasciato quel tetto, un altro uomo è arrivato nella casa. Un soldato. Ed era seguito.»
«E chi dei due hai ucciso?»
«Quello che seguiva, naturalmente. Sono una brava bambina. Mi prendo cura di te. Proprio come tu ti prendi cura di me…»
«Io non mi prendo cura di nessuno, Kettle. Tu eri morta molto prima che io lo diventassi. Vivevi su questo terreno. Ti portavo dei corpi.»
«Mai abbastanza.»
«Non mi piace uccidere. Lo faccio solo quando non ho scelta. E poi, non ero l’unica a usare i tuoi servigi.»
«Sì, invece.»
Shurq fissò la bambina per un lungo attimo. «Davvero?»
«Sì. E volevi conoscere la mia storia. Tutti gli altri mi evitano, proprio come evitano te. A parte quell’uomo sul tetto. È anche lui uno diverso da tutti?»
«Non lo so, Kettle. Ma ora lavoro per lui.»
«Ne sono contenta. Gli adulti devono lavorare; il lavoro riempie la mente. Le menti vuote non vanno bene; sono pericolose. Si riempiono da sole, di cose cattive. E nessuno è felice.» Shurq inclinò la testa. «Chi non è felice?»
Kettle agitò una mano sudicia verso il cortile in dissesto. «Irrequieti. Tutti quanti. Non so perché. La torre suda tutto il tempo.»
«Ti porterò dell’acqua salata», annunciò Shurq, «per gli occhi. Devi lavarli».
«Vedo bene. E non solo con gli occhi, ora. La mia pelle vede. E gusta. E sogna la luce.» «Che cosa intendi dire?»
Kettle si scostò dal viso a cuore ciocche di capelli insanguinate. «Cinque cercano di uscire. Non mi piacciono quei cinque; non mi piace la maggior parte di loro, ma specialmente quei cinque. Le radici stanno morendo. Non so cosa fare. Mormorano di come mi faranno a pezzi. Presto. Non voglio essere fatta a pezzi. Cosa devo fare?»
Shurq rimase in silenzio per un po’. Poi chiese: «Quanto percepisci dei Sepolti, Kettle?» «La maggior parte non mi parla; sono impazziti. Altri mi odiano perché non li aiuto. Alcuni pregano e supplicano. Parlano attraverso le radici.»
«Ce ne sono che non ti dicono niente?»
«Alcuni stanno sempre muti.»
«Parlagli. Trova qualcun altro con cui parlare, Kettle. Qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarti.» Qualcun altro che ti faccia da madre… o da padre. «Chiedi opinioni, su qualunque argomento. Se ne rimane uno che non cerca di compiacerti, che non tenta di manipolare i tuoi desideri per essere liberato, e che non prova lealtà per gli altri, dovrai dirmi di lui. Tutto quello che sai. E io ti consiglierò come meglio potrò… non come una madre, ma come una compagna.»
«D’accordo.»
«Bene. Ora, sono venuta qui per un’altra ragione, Kettle. Voglio sapere: come hai ucciso quella spia?»
«Gli ho azzannato la gola. È il modo più rapido, e mi piace il sangue.»
«Perché ti piace?»
«Il sangue nei capelli mi aiuta a tenerli lontani dal viso. E odora di vita, non trovi? Mi piace quell’odore.»
«Quanti ne uccidi?»
«Tanti. Il terreno ne ha bisogno.»
«Perché il terreno ne ha bisogno?»
«Perché sta morendo.»
«Morendo? E cosa succederà se muore, Kettle?»
«Tutto verrà fuori.»
«Oh.»
«Mi piace questo posto.»
«Kettle, d’ora in poi», concluse Shurq, «ti dirò io chi uccidere… non preoccuparti, dovrebbero essercene molti».
«Va bene. Gentile da parte tua.»

Fra le centinaia di creature sepolte nel terreno dell’Azath, solo una era in grado do ascoltare la conversazione fra le due non-morte in superficie. L’Azath stava abbandonando la sua morsa su quell’abitante, non per debolezza, ma per necessità. Il Guardiano era tutt’altro che pronto: forse non lo sarebbe stato mai.
[…] La Torre dell’Azath stava davvero morendo. E la disperazione costringeva ad avventurarsi su sentieri mai percorsi.
Tra tutti i prigionieri, era stata fatta una scelta. E i preparativi erano in corso, lenti come l’infiltrarsi delle radici nella pietra, ma altrettanto inesorabili. Tuttavia, c’era pochissimo tempo.
L’urgenza era un grido silenzioso che strappava sangue alla Torre dell’Azath. Cinque creature, simili tra loro, catturate e tenute prigioniere dai tempi dei K’Chain Che’Malle, avevano quasi raggiunto la superficie.
E ciò non era un bene, poiché erano Toblakai.

Questo passaggio - tratto da Maree di Mezzanotte di Erikson, che sto ancora leggendo - mi ha colpita: vi rintraccio un'eccellente concertazione. E' un passaggio chiuso e aperto allo stesso tempo, compiuto, essenziale ma non privo di dettagli significativi.

Analisi
L'estratto si apre con uno scenario: la Torre dell'Azath e dintorni. Della zona ci viene detto quanto basta per farci intendere che non è un luogo dall'aspetto rassicurante e che cela sicuramente qualche mistero. Infatti andando avanti scopriamo che il terreno, qui, mangia i morti. Il perchè fa ovviamente parte del mistero (e non è detto che Erikson, più avanti, lo sveli).
Dopo la descrizione iniziale, che ci ha offerto una visione d'insieme, l'obiettivo immaginario della telecamera si restringe e focalizza su uno dei due personaggi protagonisti di questo passaggio: Shurq Elalle, una sorta di non-morta con una storia alle spalle che ha dell'incredibile e che non starò qui a citare. Poco dopo, eccoci mostrata Kettle, l'inquietante bambina che scopriremo si occupa di fornire al terreno dell'Azath i cadaveri di cui ha bisogno.
Segue il dialogo tra Shurq e Kettle: gli interrogativi di Shurq mantengono quella razionalità che in Kettle vacilla, tanto che le risposte della bambina sono reticenti e allucinate; tuttavia ci vengono fornite delle informazioni che ci permettono perfino di capire qual è il particolare rapporto tra le due (il disperato desiderio d'affetto della bambina, che forse è lo stesso di Shurq, sebbene lei non voglia ammetterlo neanche a se stessa...). E' incredibile quanto possa contenere, d'importante, un solo breve dialogo!
Infine, il mistero che s'infittisce - il terreno si sta indebolendo e quando cederà "Tutto verrà fuori" - e il disvelamento finale: dalla terra-prigione risalgono alla superficie cinque creature. Il fatto che siano Toblakai non lascia presagire nulla di buono.

lunedì 18 agosto 2008

"Albero" di Tolkien

Inizio oggi la trattazione di questo testo scovato per caso in una libreria.
Sicuramente un insieme di saggi approfonditi su Tolkien era proprio ciò di cui abbisognavo, poichè finora di Tolkien sapevo solo che scrisse Il Signore degli Anelli e poco altro; ho ovviamente visto la trilogia di film di P.Jackson e letto per intero l'opera, ma questo è accaduto già troppo tempo fa e dunque mi riprometto di rileggere Il Signore degli Anelli un giorno o l'altro.

Ma veniamo al testo in questione: curato da Gianfranco De Turris, comprende un insieme di saggi di svariati autori.
Intanto, il titolo: come spiega De Turris nell'Introduzione, l'immagine dell'albero non è frutto di una scelta casuale. Tolkien stesso amava gli alberi, tanto che essi nella sua opera diventano creature viventi (gli Ent). Ma vi sono anche dei luoghi comuni legati all'albero: uno è quello che vede la mente come terriccio fertile dove le idee mettono radici e germogliano; la metafora dell'albero è stata molto inflazionata anche nell'ambito della narrativa tradizionale, infatti si parla dell'albero del mito, l'albero delle storie, l'albero delle fiabe. Tornando a Tolkien, egli stesso scrisse un racconto intitolato "Foglia" di Niggle, il cui titolo appunto viene parafrasato dal testo in esame: si trattava della storia di un pittore eternamente insoddisfatto del quadro che stava dipingendo. Il soggetto del quadro era guarda caso una foglia. L'analogia: come il pittore apportava continuamente modifiche al proprio quadro, così lo scrittore era perennemente insoddisfatto del suo narrare.


Tolkien politicizzato

Come afferma De Turris ancora nell'Introduzione:
Vi sono di certo libri che hanno una vera diffusione universale da la Bibbia a Pinocchio [...] e tutti si possono definire, con un termine tecnico, long sellers.

Il Signore degli Anelli rientrerebbe proprio in questa categoria. Non solo: quest'opera ha riscosso un successo universale che è andato al di là delle ideologie e dei confini geografici, poichè si basa su valori profondi e attinge ai miti, che non hanno colori e non tramontano mai.

Secondo De Turris la critica italiana per lungo tempo si è limitata a sottolineare i soliti aspetti della produzione tolkieniana - forse quelli che più le facevano comodo - senza approfondire veramente il perchè di tanto successo. Questo - sempre secondo l'autore - perchè la cultura italiana è stata fortemente influenzata da un approccio "realista/razionalista/progressista", retaggio dell'ultimo mezzo secolo e che ha investito i campi della narrativa, della poesia, del cinema e del teatro, fino ai fumetti e alla musica leggera. Questo approccio comportava il rifiuto di tutto ciò che era ritenuto pericolosamente evasivo, a favore invece di un'analisi critica del reale. Ecco perchè una serie di opere sono state condannate come "irrazionali", "evasive", e in ultima analisi "negative" (anche e soprattutto perchè esse evocavano un periodo visto come "oscuro", il Medioevo appunto). De Turris chiama questo atteggiamento "di sinistra". Opposto ad esso, il versante cosìddetto "di destra", che invece vedeva l'immaginario moderno come semplice espressione moderna di antiche figure fondamentali del mito, e che dunque apprezzò l'opera tolkieniana in questo senso.
Questa bipartizione portò addirittura gli intellettuali "di sinistra" a definire Tolkien "fascista", sulla base del potente sillogismo: "Destra uguale fascismo, i fascisti leggono Tolkien, Tolkien è fascista". Tutto ciò nonostante Tolkien stesso avesse sempre rifiutato una visione allegorica della sua narrativa, favorendo piuttosto la visione simbolica.


Parte I - Le Radici
Nel segno di Snorri. Le fonti letterarie di J. R. R. Tolkien*

Un giorno L[ewis] mi disse: "Tollers, ci sono troppo pochi racconti che ci piacciono. Temo che dovremo provare a scrivere qualcosa noi".

Nell'accostarsi alla narrativa Tolkien fu spinto fondamentalmente dall'interesse linguistico e filologico. Egli stesso voleva che la sua opera venisse inquadrata in questo modo:

I racconti immaginari nacquero dalla predilezione di Tolkien per l'invenzione dei linguaggi. Egli scoprì, come tutti quelli che sviluppavano questo tipo di invenzioni, che un linguaggio richiede un'ambientazione adatta, e una storia in cui possa svilupparsi.

Sarà che ho di recente sostenuto l'esame di Filosofia e teoria dei linguaggi, ma questa citazione accende nella mia mente più lampadine: tra queste, l'idea che Wittgenstein aveva di linguaggio. Egli lo definì come "gioco linguistico" ed il significato come "uso", ponendo l'accento sul legame imprescindibile tra linguaggio e contesto (dunque nel nostro caso linguaggio e "ambientazione"). Per spiegare il concetto Wittgenstein fa l'esempio del leone: egli dice che quand'anche un leone potesse parlare, noi non potremmo mai comprenderlo; ma non perchè il leone parlerebbe un altro linguaggio, bensì perchè noi non potremo mai capire qual'è la forma di vita di un leone. Infatti noi possiamo solo immaginare come viva un leone. Ed è questo scarto ineliminabile tra mondo umano e mondo animale (dovuto a quello che Aristotele chiamava logos, il discorso, o la ratio latina, posseduti dagli uomini e non dagli animali) la causa della nostra impossibilità di comprendere un leone nella situazione ipotetica appena esposta.
Ma torniamo a Tolkien.
Il professore di Oxford, com'è risaputo, è stato consacrato come padre fondatore del genere fantasy. Per chiunque si cimenti nella scrittura fantasy, la lettura di Tolkien sembra un passaggio obbligato. L'eredità di Tolkien è così forte da risultare quasi ingombrante, tanto che viene da chiedersi: che tipo di fantasy dopo Tolkien? L'opera tolkieniana è infatti un corpus in se compiuto, fatto di cosmologia, mitologia, epica e storia. "Come poterne fare, dunque, un genere letterario con tanto di codici e di canoni senza scadere irreparabilmente nel manierismo più bolso?" Secondo Respinti il fantasy odierno non ha ancora dato una risposta a questo dilemma. La soluzione da lui indicata sarebbe quella dell'indifferenza: "considerare il fantasy a prescindere dal suo perarltro ineliminabile sfondo tolkieniano" soffermandosi sui meriti e i demeriti delle singole opere. Paradossalmente, il fantasy può sopravvivere solo se ignora Tolkien.
Lo stesso Tolkien ammette di aver letto e apprezzato ben poco dei romanzi che poi saranno definiti fantasy. Eppure non si può immaginare Tolkien come estraneo al genere. Le radici della sua opera vanno ricercate nella tradizione che comprende il poema anonimo del VII sec. Beowulf, l'Edda in prosa composta nel XIII sec. dall'islandese Snorri Sturluson (e dalla quale Tolkien prese i nomi per i nani del suo Lo Hobbit), e perfino le fiabe dell'Europa nordoccidentale raccolte dai fratelli Grimm tra Settecento e Ottocento. A proposito di fiabe, pare che Tolkien non apprezzò molto Alice nel paese delle meraviglie, a differenza di Peter Pan di Barrie che pare segnò molto la sua formazione di scrittore. C'è anche chi ha accostato Il Signore degli Anelli all'Anello dei Nibelunghi wagneriano, ma a tal proposito Tolkien stesso smentì il parallelismo dicendo che "entrambi gli anelli sono rotondi, questa è l'unica rassomiglianza".
Non bisogna dimenticare che Tolkien, oltre che ricevere, esercitò anche una grande influenza su tutta una schiera di scrittori, da Ursula K.Le Guin a Terry Pratchett, Poul Anderson, Harry Turledove, ecc. In questo senso possiamo dire che davvero il fantasy è nato con Tolkien.

Ma l'opera di Tolkien non si esaurisce tutta in un gioco di influenze reciproche. Lo scopo primario dello scrittore fu quello di creare un'intera mitologia per il suo paese, quell'Inghilterra che amava tanto e che secondo lui scarseggiava di storie di questo tipo; egli inoltre auspicava che queste storie potessero assumere poi validità universale. A tal proposito Tolkien diceva:

Io pretenderei, se non pensassi che fosse presuntuoso da parte di una persona così mal istruita, di avere come obiettivo quello di dimostrare la verità e di incoraggiare i buoni principi in questo nostro mondo, attraverso l'antico espediente di esemplificarli attraverso personificazioni diverse, che alla fine tendono a farli capire.

Concludo citando Respinti:

Quando prese e si mise a scrivere, l'uomo Tolkien scoprì Tolkien lo scrittore. E lo lasciò fare. E Tolkien lo scrittore fece ciò che sapeva fare magistralmente, cioè l'uomo.


*Saggio di Marco Respinti.

domenica 17 agosto 2008

Prodigi digitali (post ad alto contenuto inutile)

Da vecchia accanita di html non potevo esimermi dallo smanettare il layout di questo blog. Dopo ricerche ed ore insonni, sono riuscita a capire il funzionamento dei templates di Blogger et voilà, un nuovo look per Le storie infinite.

P.S. Questo post è puramente inutile. Mi serviva soltanto a inaugurare il nuovo style :-P

sabato 16 agosto 2008

Preview

Cerco di fare il punto della situazione sulle mie impressioni iniziali circa i tre romanzi comprati di recente.

Gli inganni di Locke Lamora (Scott Lynch)
Buonissima impressione.
Premessa: io sbavo per i personaggi di strada e le atmosfere malsane tipo Corte dei Miracoli/zingari/ladriassassinibarboni/gentaccia. Poi apprezzo molto il realismo dei dialoghi, quando sono comprese anche scurrilità e bestemmie (sempre se sono giustificate dal background dei personaggi che le pronunciano!).
Che dire, visto l'inizio credo sarà un libro frizzante e coinvolgente.

Maree di mezzanotte (Steven Erikson)
Eh, Erikson si commenta da solo. Erikson è Erikson, ragazzi, punto.
Se proprio devo dire qualcosa... diciamo che tra quelli già letti ho apprezzato leggermente di più I giardini della Luna e La dimora fantasma, in quanto queste Maree si incentrano sullo scontro tra due civiltà (Letherii e Tiste Edur) che, come recita la quarta di copertina, richiamano il nostro mondo per stili di vita ed economia: aspetti, quest'ultimi, che non mi entusiasmano molto. In ogni caso anche in questo romanzo c'è tutto Erikson, con tanto di dèi impiccioni, ascendenti e canali vari. Mi aspetto grandi cose.

Il trono di spade (George R. R. Martin)
Ahi, ahi, ahi... e qui casca l'asino.
Dico: ma che c'avrà mai stò Martin per esser così osannato?
Sono solo ai primi capitoli del romanzo e quindi il mio commento non è molto attendibile, ma mi permetto di dire che se il buon giorno si vede dal mattino io prevedo cieli scuri e forti raffiche di vento! Da qualche parte ho letto che Martin = soap opera: cavoli, è vero! Intanto non ci siamo proprio che mi si narri di vicende di nobiluomini e nobildonne: il mistero della Barriera e degli Estranei poteva anche destare curiosità, ma a me delle pseudoavventure di quattro rampolli di nobili casate non frega un accidenti! E poi qui mi vengono sottratte anche le sacrosante frasi in corsivo esprimenti i pensieri dei personaggi (come in Erikson)! No, no, caro Martin non ci siamo proprio.
Se continua così, almeno, dovrò rimpiangere una cifretta irrisoria: sempre meglio rimpiangere 8 euro che i 17 euro di Un nuovo regno!

lunedì 11 agosto 2008

Quarantottoeuroecinquantacentesimi.

Questa la modica spesa per l'acquisto di tre libri, di cui uno almeno so che merita davvero, ossia Maree di Mezzanotte, quinto volume - secondo la ripartizione effettuata da Armenia, che ha diviso in due Memorie di Ghiaccio - della saga eriksoniana del Libro Malazan dei caduti.

Gli altri due sono:

- Gli inganni di Locke Lamora, di Scott Lynch, sul quale ho letto pareri entusiastici;

- Il trono di spade, di George R. R. Martin, osannato da parecchi.

E adesso... bisogna trovare il tempo (settembre con la ripresa delle attività universitarie è inevitabilmente vicino).

sabato 9 agosto 2008

Ogni scrittore forgia la sua spada

Se c'è una cosa che ho capito in un anno di "progettazione mentale" (come la chiamo io) è che ogni scrittore crea per sè il proprio metodo di scrittura e ideazione. E' come se un cavaliere si forgiasse la spada da solo: la sua spada avrebbe tutti i sacri crismi, sarebbe adatta a lui e lui solo. Ecco, ogni scrittore forgia la sua spada. Forse la metafora è un po' forzata, perchè in realtà lo scrittore ha già una moltitudine di armi a propria disposizione: artifici retorici, tecniche di narrazione, ampia scelta di punti vista, ecc.; più esattamente, ciò che egli veramente crea è il proprio modo di servirsene. Comunque, il fatto è che ho capito che non esistono trucchi del mestiere validi per tutti nè asserzioni universali in fatto di metodi di scrittura.

L'ho capito perchè l'ho vissuto sulla mia pelle: dopo un'esperienza di non-metodo, dove mi sono gettata a briglie sciolte sul foglio bianco (quel che nè è risultato era carta straccia), ho capito che dovevo autodisciplinarmi. Devo dire che non è stato facile: non per la disciplina, giacchè io sono una persona ossessivamente ordinata e schematica; semmai per il fatto che dovermi fermare, mettere punto e a capo per iniziare a porre delle solide basi al mio lavoro, mi scoraggiava: avevo il timore (e ce l'ho tutt'ora) che quando avessi finito di "pianificare" (magari prima di raggiungere gli enta... e ora ne ho venti) e mi fossi trovata davanti al famoso foglio bianco, ecco, mi sarei scoperta improvvisamente e tragicamente incapace, spenta nella mia passione creativa.

Qualche giorno fa, invece, è successo qualcosa che mi ha dato nuove speranze: stanca di schizzare mappe, ideare nomi, calendari e sistemi monetari del mio mondo fantastico, ho iniziato a stilare una scaletta di capitoli del primo libro del mio progetto fantasy (che per ora ne comprende quattro). Beh, in un paio d'ore sono arrivata al capitolo quindicesimo: direi un buonissimo risultato; se non altro perchè d'un tratto i buchi neri della mia mente si sono illuminati, e i punti dai quali la mia trama perdeva acqua si sono meravigliosamente tappati. Tutto veniva a combaciare, infine. Questo cosa può voler dire? Vediamo:

a) Il mio genio creativo è sbocciato e d'ora in poi sarà tutto un climax ascendente che si concluderà con la stesura di un romanzo fantasy degno di reggere il confronto con la buon'anima di Tolkien;

b) Non sono una cerebrolesa e dunque sono riuscita a stendere una parte di trama decente come vi riuscirebbe un qualsiasi bambino di quinta elementare;

c) Se continuo così forse ho qualche possibilità di riuscire a ideare e scrivere un romanzo che valga la pena di essere letto.

Scartando gli estremismi, propenderei per l'ultima ipotesi... giusto perchè in tutto il resto delle cose della vita adotto sempre un atteggiamento fortemente pessimista (per non dire nichilista).

Staremo a vedere, magari un giorno potrò scorgere il mio nome in libreria e questo blog diverrà strafamoso...


Il sipario si chiude e in sottofondo parte una musichetta che fa:
"I sogni son desideri... di felicità...".

mercoledì 6 agosto 2008

La (non) utilità della Guerra

Fra i tanti miei dilemmi legati alla scrittura fantasy ve n'è uno che mi ronza in testa in questi giorni: un romanzo fantasy in cui non si descrivono scene di guerra (intendo scene di massa, non i semplici duelli) è da considerarsi in qualche modo "monco"?

La questione sorge dalla mia totale indifferenza al tema bellico. Credo sia proprio il fatto che in un romanzo fantasy le parti che descrivono scene belliche mi annoiano la causa della mia ignoranza in materia di dinamiche e strategie di guerra.

Ho pensato che per rimediare potrei sempre sorbirmi un bel manuale inerente, ma non so se questa sia poi veramente una via d'uscita: potrò imparare teoricamente tutte le tecniche d'attacco/difesa esistenti, ma nulla di tutto ciò mi infonderà la passione per l'argomento.

Dunque? Che fare? Rinunciare a priori di scrivere un romanzo fantasy a causa di uno di questi miei limiti?
Sinceramente non credo ne valga la pena. Volendomi consolare, ho pensato a ciò che ho letto di Erikson, cioè I giardini della luna e La dimora fantasma. Nel primo tomo non ci sono scene di guerra, se ricordo bene; al massimo scontri brevi che coinvolgono pochi elementi. Nel secondo libro, invece, l'apice della qualità è costituito proprio dalle vicende della cosiddetta Catena dei Cani di Coltaine e della lotta dei soldati dell'Imperatrice Laseen per contrastare la rivolta dell'Apocalisse. Ora, entrambi i libri sono meravigliosi (secondo il mio personale gusto); eppure uno tratta di guerra e l'altro no. Quindi si può scrivere un romanzo fantasy godibilissimo senza per forza infilarci assedi, arti mozzati e cozzare di scudi.

Beh, mettendola così direi che ho scoperto l'acqua calda! Infondo ci sono tantissime varianti del genere fantasy (a tal proposito dovrò erudirmi)... tante quanti sono i gusti dei lettori. Io potrò anche essere una schiappa quanto a materia bellica, ma mi ritengo almeno moderatamente capace nella descrizione di altre guerre: quelle psicologiche, che si consumano nel profondo antro oscuro degli animi dei personaggi.

lunedì 4 agosto 2008

Il Segreto di Krune - Michele Giannone

Titolo: Il segreto di Krune

Autore: Michele Giannone

Edito da: Dario Flaccovio Editore

Anno: 2007

Pagine: 496

Prezzo: 18,00 euro


Voto: 5/10


Ieri ho terminato la lettura de Il segreto di Krune. Devo essere sincera? Una delusione.

La Trama
Il soggetto è originale
e anche l'ambientazione, se non fosse che se ne vede ben poca e descritta vagamente. In ogni caso la società del Matriarcato è una delle cose che salvo in questo romanzo, giusto per il fatto di non essere qualcosa di trito e ritrito.

Lo Stile
Chiaro, conciso, veloce
. Ma qui potremmo già iniziare con le note dolenti: per i miei gusti questo stile è anche troppo veloce, spezzettato... provoca il singhiozzo e mi dà i nervi! Ora, in un romanzo fortemente psicologico ed introspettivo una scrittura frammentata potrebbe anche starci, per rendere l'idea di un io discontinuo e lacerato... Ma continuiamo a leggere e...

I personaggi
... e noteremo che quanto ad approfondimento psicologico c'è di che piangere. Insomma, se i protagonisti - Mareq Tha e Jaat - lasciano a desiderare, è facile concludere che tutti gli altri personaggi hanno la sola dignità di essere comparse. Le varie vigilanti di Krune sono tutte uguali, sembrano degli automi: anche qui potremmo giustificare col fatto che in una società che non lascia spazio ai sentimenti e impone l'obbedienza cieca alla fede di Elle è d'obbligo che le persone siano omologate e anonime; ma allora l'autore avrebbe potuto calcare la mano in questo senso, sottolineando la totale disumanità di queste donne... avrei voluto vedere la freddezza nei loro occhi, la follia visionaria, il fanatismo, l'ardore di passioni represse, la violenza, la profonda angoscia. Invece... nulla di tutto ciò. I personaggi di Krune sono puri attanti, fantocci che eseguono azioni. Ma neanche le azioni sono tanto degne d'interesse! Motivo del fatto che il romanzo mi è risultato, nel complesso, molto noioso.

Altre imperfezioni...
Bisogna sottolineare anche che quasi tutto il romanzo è raccontato e non mostrato; che Jaat si massaggia il mento mentre parla non so quante migliaia di volte durante la narrazione; che non mi convince affatto come Mareq Tha, dopo aver superato gli iniziali ostacoli, si doni totalmente al suo uomo dagli occhi rossi, quasi avesse da sempre conosciuto l'amore...

Insomma, si vede che è l'opera prima di un esordiente. E si vede anche che è un romanzo che ha come protagonista una donna ma che è raccontato da un uomo... Ma non voglio fare critiche gratuite: apprezzo molto il fatto che Giannone abbia fatto questa scelta, perchè sarebbe stato sicuramente più facile immedesimarsi in un eroe maschio, invece la scelta dell'eroina è una sfida interessante e degna di encomio.


Link correlati:

Il segreto di Krune su IBS
Il segreto di Krune sul sito dell'editore

domenica 3 agosto 2008

Accostamenti improbabili


Credo che si potrebbe avere qualcosa da dire (e ridire) sul fatto che in edicola troveremo accostati in una collana di classici I promessi sposi e il Kamasutra...


Il buon Manzoni - e la sua fede - starà rivoltandosi nella tomba!

venerdì 18 luglio 2008

Del Buon mercato e della Cattiva realtà

Questa riflessione nasce da un post di Andrea D'Angelo (click!).


Beh, di pietà a buon mercato (formula azzeccata) ne abbiamo davvero piene le tasche!

Il realismo è proprio ciò che cerco nella lettura e ciò che ambisco a rendere in quello che scrivo. Se c'è una cosa che odio è il buonismo gratuito e i facili moralismi: smettiamola con questi personaggi tutti d'un pezzo, che sanno sempre cosa fare e quando farlo, che salvano il mondo invece di sprofondare un po' con esso!
Nel doppio della vita che è il mondo del teatro, ad esempio, è accaduto proprio che a un certo punto il mito dell'eroe classico "senza macchia" è crollato, svelando un'anima lacerata e divisa. Questo è l'uomo! Eterna contraddizione, lotta con sè e col mondo. Mai equilibrio, mai pace, mai sosta; ma sempre movimento e guerra.
Lo stesso fenomeno è accaduto nella letteratura contemporanea (pensiamo alla lezione del maestro Pirandello... noi siamo al contempo Uno, Nessuno e Centomila); ma pare che raggiungere anche le lontane spiagge deserte dei romanzi fantasy sia un viaggio troppo lungo e faticoso. Così ci appioppano ancora eroi epici... Non vorrei assumere toni "profetici", ma io penso sempre più che c'è tanto male al mondo, e soprattutto dentro di noi: non ci sono santi sulla terra (forse neanche in cielo, e scusate la blasfemia). I rapporti umani si muovono spesso attraverso dinamiche d'odio, invidia, orgoglio, sopraffazione. Soprattutto con chi ci sta vicino, coi nostri simili. Ecco, per me un buon libro è quello che fotografa questa realtà (che poi è per me l'unica vera). Diffido spesso dalla gente, non vedo perchè dovrei fidarmi di belle morali ficcate nei libri per il buon mercato.

giovedì 10 luglio 2008

Un nuovo regno (ma con la solita solfa)

Titolo: Le Guerre del Mondo Emerso - Un nuovo regno

Autore: Licia Troisi

Anno: 2007

Edito da: Mondadori

Pagine: 508

Prezzo: 17,00 euro

Voto: 4/10


Stanotte ho finito di leggere Un nuovo regno, di Licia Troisi.
Il capitolo conclusivo delle Guerre del Mondo Emerso non è nulla più nulla meno di ciò che mi aspettavo: a dirla tutta, il barlume di speranza che ancora nutrivo nei confronti di questo romanzo - la speranza di un salto di qualità finale, un coniglio che sbucasse dal cilindro - si è spento dopo poche pagine.

Puntualizzo che queste mie riflessioni non possono in alcun modo costituire una recensione compiuta, semplicemente per il fatto che non ho letto tutto il libro; o meglio, metà l'ho letta in maniera continuativa, il resto a saltare perchè davvero la noia mi stava soffocando. Così ho fatto una corsa sfrenata verso l'ultima pagina, giusto per poter dire di aver concluso l'ennesima lettura.

Nonostante ciò credo che il fatto che non abbia letto l'opera per intero sia significativo ai fini di un giudizio complessivo: significa infatti che l'opera ha fallito il suo scopo principale, cioè quello d'invogliare alla lettura.

Allora, che dire di questo romanzo?
Considerando l'intera trilogia, devo ammettere che il romanzo d'apertura - La setta degli assassini - mi aveva a tratti conquistata (forse anche abbagliata, nel senso proprio dell'aver preso un abbaglio, una cantonata rivelatasi in pieno con Un nuovo regno). A quella Setta avrei dato pure un Sette decimi.
Con Le due guerriere già il cadavere aveva iniziato a puzzare, ma ancora non mi rassegnavo. Leggere dei batticuori di Dubhe e Lonerin poteva ancora essere un piacevole passatempo per una ventenne romanticona e patologicamente ostinata a non voler crescere come me.
Un solo aggettivo per Un nuovo regno: prevedibile. Ok, pure per il Signore degli Anelli era prevedibile che alla fine l'impresa della distruzione dell'Anello andasse a buon fine... ma vogliamo considerare tutto ciò che stà nel mezzo di una storia? Il come si arriva a quella che Tolkien definisce eucatastrofe?
Nulla di sconvolgente in questo pargolo troisiano, che considero un paio di spanne sotto alla stessa Setta che mi aveva dato belle speranze per i seguiti. Anche qui, le smancerie tra Dubhe e Learco sono passaggi commestibili, così per ammazzare il tempo. Ma cosa mi ha lasciato questa storia? Mi ha emozionata? No.

Spoiler. Manco quando è morto Ido, personaggio osannato da autrice e lettori. Forse l'unico con un certo spessore psicologico. E qui mi viene in mente, per contrasto, un parallelismo con un passaggio de La dimora fantasma (Erikson): la morte di Duiker e quella di Coltaine... a chi non sono venuti i brividi? Soprattutto per Duiker... crocifisso come un Cristo d'altri tempi. Un grande personaggio immolato per la buona causa della narrazione: questo sì che è un colpo da maestro! Fine spoiler.

D'altronde la Troisi non è Tolkien nè Erikson (nè qualsiasi altro buon scrittore che ancora non ho avuto il piacere e l'onore di scoprire); e poi guardiamo anche al target: ragazzini, adolscenti. Loro chiederebbero di più? No, e allora non viene offerto di più. Ma mi domando: la Troisi scrive espressamente per questo target o non è proprio capace di scrivere diversamente e quindi è limitata a questa fascia d'utenza? Nel primo caso ci sarebbe quasi da encomiarla: credo che scrivere per adolescenti sia cosa più complessa che farlo per adulti; bisogna avere enorme tatto e coscienza di metodo. Nel secondo caso... Vabbeh.

Non credo comprerò più altro della Troisi. Mi limiterò a scaricare gli ebook delle sue opere future nella speranza di quel famoso coniglio che sbuchi fuori dal cilindro...


Link correlati:

Un nuovo regno su IBS
Licia Troisi su Wikipedia
Blog dell'autrice

domenica 6 luglio 2008

Pesce fresco sul comodino

Due acquisti freschi freschi di giornata:

- Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie - Attraverso lo specchio (in un'edizione super economica di 6,90, La Biblioteca di Repubblica);

- "Albero" di Tolkien. Come il Signore degli Anelli ha segnato la cultura del nostro tempo (a cura di Gianfranco de Turris, Tascabili Bompiani, prezzo di copertina 9,20 euro, con sconto del 15% 7,82 euro, un affare!).

Quarta di copertina:
"J.R.R.Tolkien scrisse un racconto dal titolo "Foglia di Niggle": la storia di un pittore e di un suo quadro, metafora dell'opera letteraria, del suo sviluppo e dei suoi esiti. Il testo qui presentato riprende quel titolo e quella metafora riferendosi all'opera letteraria dello scrittore: quali le radici, quali i rami e quali le foglie di essa e scaturiti da essa nel corso degli anni? Così un gruppo di autori che conoscono Tolkien, ma che sono esperti di materie diverse, ha redatto una serie di saggi che in una prima parte indagano sulle radici letterarie e mitologiche non solo del Signore degli Anelli ma dell'opera complessiva del professore di Oxford; in una seconda sui rami, cioè gli sviluppi di quest'opera con un esame dei temi e dei personaggi, nonché sul loro significato; in una terza parte sulle foglie, cioè su come l'opera tolkieniana abbia influenzato musica, fumetti, arte, cinema, letteratura, giochi di ruolo e videogiochi. "

Il primo libro vorrà essere una rilettura molto attenta (in vista magari di approfondimenti futuri in ambito di studi); il secondo libro sarà una lettura particolarmente interessata: voglio capirci fino in fondo nella questione della valenza culturale del capolavoro di Tolkien. Del resto non posso pretendere di scrivere fantasy misconoscendone il padre spirituale!

...sarebbe come seguire il calcio senza conoscerne minimamente le regole (che è quel che faccio in realtà...!).


P.S. Diciamo che ho avvistato anche "Il nome del Vento" di P. Rothfuss, ma quei 22 euro mi hanno lasciata molto basita e così non ho ceduto al desiderio (speriamo in una versione economica o nei prodigi del peer-to-peer).
Molto scontenta invece di non aver trovato Memorie di ghiaccio (vol.1) di Erikson (ma solo Maree di Mezzanotte); mi toccherà ordinarlo su IBS.

sabato 5 luglio 2008

"Ma tanto è fantasy!" - Le tante declinazioni del deus ex machina

Lo spunto per questa considerazione mi viene da una discussione che sto seguendo sul forum di Fantasy Magazine, nel topic su Licia Troisi (sezione "Gli scrittori"); lo spunto è anche perfetto per collegarmi alla lettura de Un nuovo regno (capitolo conclusivo delle troisiane Guerre del Mondo Emerso) che sto conducendo faticosamente. Il perchè - il perchè mi ostini ancora a leggere una scrittrice che mi appassiona sempre meno - è presto detto: giusto per potermi offrire la magra consolazione del dire: "ho speso 17 euro, e se i soldi non sono valsi a regalarmi una lettura piacevole, quanto meno mi hanno fatto capire ancora meglio come non vorrei scrivere".

Ma andiamo al sodo. La discussione sul forum: qui un utente - Okamis - sta cercando (e il tentativo mi suscita tenerezza perchè - ahimè - so già che sarà vano) di sottoporre i propri dubbi alla stessa scrittrice romana circa la coerenza dei suoi scritti . Riporto di seguito un interessante intervento di Andrea D'Angelo in questo topic, molto esplicativo:


"Il "ma tanto è Fantasy" può essere utilizzato quando qualche lettore avanza critiche che vanno contro i principi stessi del Fantasy. Se un lettore mi dicesse: "Ma i tuoi Uomini volano! E' assurdo!" Se i miei Uomini lo fanno coerentemente all'interno del romanzo e la soluzione "volo" non è stata introdotta di punto in bianco e/o soltanto per togliermi dall'impaccio di una situazione apparentemente irrisolvibile, posso rispondere: "ma tanto è Fantasy e la coerenza c'è". La coerenza interna delle soluzioni le rende valide e inconfutabili, perché non è camuffabile. Nessun autore è in grado di dimostrare che qualcosa rientra nella coerenza interna dell'opera - cioè della ponderazione creativa dell'autore stesso - se il particolare criticato non è stato effettivamente introdotto ponderando. Si capisce quando qualcosa non è ponderato, lo si capisce molto bene."

Ecco che mi sono armata di puntiglio e, Un nuovo regno alla mano, vi sottopongo giusto il più recente passaggio che mi ha fatto inarcare il sopracciglio.

(Nota: attenzione spoiler!)

Premessa: Learco e Theana sono stati fatti prigionieri, insieme ad altri, come traditori del re, e rinchiusi nelle segrete dell'Accademia di Makrat. Dubhe (scampata al massacro ordito dal re Dohor, suo acerrimo nemico) s'ingegna (per favore, non ridete) per liberare il principe e l'amica. Con estrema facilità riesce a raggiungere indenne la cella di Learco e liberarlo; poi i due riescono a trovare la stanza delle torture (che pauuura!) dove si trova Theana (in compagnia di uno gnometto laido e cattivone che Dubhe, grazie alla Bestia che ancora una volta le graffia il petto, massacra in quattro e quattr'otto). A questo punto i tre decidono di organizzare un'evasione di massa, volendo giocare sul fattore "caos".


"Dobbiamo andarcene di qui" disse Dubhe con un filo di voce.
Aveva il volto rigato di lacrime [
per quanto riguarda la tendenza maniacale al
pianto delle eroine troisiane rimando ai link a fondo pagina
]
e le mani viscide
di sangue, ma cercava di riprendere il controllo della situazione. [...]
"Un'evasione di massa... [...] solo così potremo uscire" disse tra un rantolo e l'altro.
"Guardaci! Non siamo abbastanza in forze per combattere" obiettò Learco.
"Forse però non sarà necessario." Era stata Theana stavolta a intervenire. "Posso farlo io con un incantesimo, senza muoverci da qui."
[Ma certo, esiste la magia, quella cosa con cui puoi fare tutto ciò che ti pare e piace, perchè non c'avevo pensato?]
[...] Theana prese un grosso respiro. Era pallida e stanca, e non appena iniziò a mormorare alcune parole a bassa voce, il suo viso si fece di un colore terreo, e le sue gambe cominciarono a cedere. Learco la sorresse ancora, ma lei non si fermò. I ceppi a cui era stata legata avevano annullato i suoi poteri, e ora le servivano tutte le sue energie per richiamarli. Con gli
occhi serrati in una smorfia di dolore sul volto, terminò la formula. Il rumore simultaneo di molti lucchetti che scattavano all'unisono riempì lo spazio della cella, poi il corridoio e il piano intero. Theana cadde a terra.
[Era pure ora, visto che l'avevano appena torturata a dovere...]"


Ora, ragioniamo:

1) Cosa significa esattamente che "i ceppi a cui era stata legata [Theana] avevano annullato i suoi poteri"? Magari i ceppi avevano poteri anti-magia (tipo la polvere Otataral di Erikson)? Non credo, altrimenti il fatto sarebbe stato menzionato;

2) Quindi deduco che la frase sopra citata si riferisce al fatto che Theana essendo stata legata ai ceppi e torturata era priva di forze, forze indispensabili per effettuare un qualche incatesimo (specie se uno di vasta portata quale è quello di aprire non so quanti lucchetti);

3) Fino al fatto che Theana era spossata per eseguire l'incantesimo ci siamo. Ma mi chiedo: ora che Dubhe e Learco l'hanno liberata dai ceppi è meno stanca? O semplicemente il fatto di non essere più legata a un ceppo le permette di fare l'incantesimo? Ma non mi pare che questo richieda l'uso delle braccia e delle mani, bensì solo l'uso della voce, come descritto dalla Troisi ("[...] non appena iniziò a mormorare alcune parole a bassa voce..."). Allora il fattore-ceppo è irrilevante... Comunque, poniamo anche il caso che il ceppo la impediva: ma mica Theana è stata trasportata all'Accademia legata al ceppo! Insomma, ci sarà stato un momento in cui lei avrebbe potuto benissimo fare quell'incantesimo, prima di essere rinchiusa, legata e torturata; e se sbloccare tutte quelle serrature richiedeva troppa energia, avrebbe potuto almeno sbloccare quella della cella di Learco! O forse la mente della maga non poteva localizzarla? Ma allora come ha fatto a localizzare e sbloccare tutte le celle dell'Accademia? Ha digitato nella barra del browser del suo cervello la parola-chiave "serratura" e ha premuto search magari? Insomma, come diavolo funziona un incantesimo del genere?

Mistero dei misteri.

Quel che resta di fatto è che a questo punto della storia Theana ha il lampo di genio di fare quest'incatesimo di liberazione di massa e salvare il deretano collettivo.
Se questo non è un deus ex machina allora come definirlo?
Ma certo... che stupida, la risposta è così semplice:

...ma tanto è fantasy!

Facciamocene un baffo della coerenza e dell'onestà nei confronti del lettore.

Link correlati:

Il topic in questione
http://www.fantasymagazine.it/forum/viewtopic.php?t=11473&start=30

Recensioni dei libri della Troisi su Gamberi Fantasy
http://fantasy.gamberi.org/2008/01/16/recensioni-romanzo-nihal-della-terra-del-vento/

http://fantasy.gamberi.org/2008/01/23/recensioni-romanzo-la-missione-di-sennar/

http://fantasy.gamberi.org/2008/01/30/recensioni-romanzo-il-talismano-del-potere/

http://fantasy.gamberi.org/2008/06/12/recensioni-romanzo-la-setta-degli-assassini/

"L'evasione del prigioniero" - J.R.R. Tolkien

Non vedi laggiù la stretta viacosì angusta, circondata da spine e da rovi?
È il sentiero della Virtù, sebbene pochi lo ricerchino.
E non vedi laggiù quell’ampia, ampia stradache si snoda attraverso il campo di gigli?
È il sentiero della Malvagità, sebbene alcuni lo chiamino Via del Paradiso.
E non vedi laggiù un grazioso viottoloche serpeggia sull’erta tra le felci?
È il sentiero verso la magica Terra degli Elfi, dove tu e io questa notte avremo riposo.

J. R. R. Tolkien, Sulle fiabe


Chiunque, credo, associa automaticamente il nome di John Ronald Reuel Tolkien al titolo della sua opera celeberrima, Il Signore degli Anelli. Io stessa ho recentemente scoperto che lo scrittore anglosassone è stato anche un teorico della fiaba: in Albero e foglia (1964), infatti, troviamo il suo saggio Sulla fiaba. Premetto che non possiedo il libro e quindi non ho potuto leggere il saggio in questione, ma documentandomi ho potuto farmi un'idea del suo contenuto.

Tolkien elenca quattro usi o valori delle fiabe: Evasione, Riscoperta, Consolazione, Fantasia.


Evasione
Spesso la letteratura escapista è accusata di disinteressarsi della realtà, per questo il carattere evasivo della letteratura fantastica viene visto negativamente. A chi lo accusava di evasione fine a se stessa Tolkien replicava che:

"L’evasione del prigioniero non va confusa con la fuga del disertore."

Infatti secondo lo scrittore è assurdo dire ad un prigioniero che fuggire è sbagliato. Ora la domanda è: evadere da cosa? La risposta di Tolkien è «dal mondo», che è spesso malvagio e ci confonde: l’evasione ci aiuta infatti a sfuggire la «schiavitù degli oggetti» e a recuperare una visione chiara delle cose. Portato all’estremo, poi, il concetto di evasione si fa carico persino del desiderio umano di sottrarsi alla Morte.

Riscoperta
Il secondo valore delle fiabe è la riscoperta, intesa come recupero della bellezza della sorpresa infantile di fronte alle novità: le fiabe, secondo Tolkien, ci aiutano a recuperare quella freschezza che avevamo da bambini, di contro alla tendenza a farci condizionare dalle abitudini e da ciò che è “vecchio e già sperimentato”.

Consolazione
La consolazione, ovvero il famoso “lieto fine”, è forse quella condizione senza la quale non può esistere alcuna fiaba. Se la tragedia è la forma più alta del teatro, pare che la struttura stessa della fiaba esiga una risoluzione positiva. Tolkien parla di un capovolgimento finale che porta la storia ad una eucatastrofe (termine coniato da lui stesso) finale, che altro non è che «una visione fuggevole della Gioia oltre le muraglie del mondo».

Fantasia
E' forse l'aspetto che in sede di letteratura fantasy m'interessa di più, per via del rinvio all'importante attività della creazione di un mondo.
Tolkien definisce la fantasia come la facoltà che noi abbiamo di immaginare cose che non abbiamo mai visto né sentito. In particolare, con la memoria immaginiamo il passato, con l’intuizione il presente, e con la previsione il futuro. Qui Tolkien aggiunge un Terzo Regno: quello delle opportunità non realizzate, dove dimora tutto ciò che non esiste. Secondo lo scrittore, grazie alla fantasia, noi possiamo immaginare – forse anche creare – parti di quel mondo.

Inoltre, Tolkien volle sfatare il luogo comune che associa la letteratura fantastica (in questo caso quella favolistica) al mondo dei bambini. Infatti, secondo lo scrittore:

"La connessione istituita tra bambini e fiabe non è che un accidente della nostra storia."

Le storie di Biancaneve, Cenerentola, ecc., in origine contenevano aspetti complessi e anche violenti, destinati agli adulti; tanto che, sempre a detta di Tolkien, le fiabe non sarebbero semplicemente storie di fate, bensì:

"Vicende in cui si narra del mondo fatato […] È un reame che contiene molte altre cose accanto a elfi e fate […]: racchiude i mari, il sole, la luna, il cielo, e la terra e tutte le cose che sono in essa, alberi e uccelli, acque e sassi, pane e vino, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo vittime di un incantesimo."

Tolkien rintraccia lo slittamento delle fiabe dal mondo adulto a quello infantile nell’Inghilterra vittoriana dominata dalla rivoluzione industriale che aveva scombussolato la società: in questo contesto le fiabe incarnavano la nostalgia per un mondo genuino che andava scomparendo. Ad un certo punto gli editori fiutarono l’interesse crescente per questo mondo in estinzione e, di conseguenza, per lo stadio dell’infanzia, caratterizzato dalla semplicità e dal gioco: così le fiabe di tutto il mondo furono riadattate e riempite di ragazze indifese e oppresse e di giovani baldanzosi premiati per le loro virtù cristiane. Tempo dopo, un signore di nome Walt Disney avrebbe dato un grande contributo a questa nuova tendenza col suo primo lungometraggio a cartoni: Biancaneve. A chi lo criticava di generalizzare eccessivamente le fiabe a danno della loro forma originaria Disney rispondeva così:

"Semplicemente, ai nostri giorni la gente non vuole ascoltare le fiabe nella versione originale. Queste infatti erano troppo violente. In ogni caso, alla fine, si ricorderanno la storia nel modo in cui noi la filmiamo."

Ed in effetti, oggi è il nome di Walt Disney, e non quello di Tolkien, a balzare alla mente quando si parla di fiabe.


Link correlati:

Su Tolkien e le fiabe (di Terri Windling)
http://www.endicott-studio.com/rdrm/Itfortolkn.html

Un articolo del Corriere della Sera
http://www.corriere.it/speciali/signoredeglianelli/articolomedail.shtml

giovedì 3 luglio 2008

Scrittura - Show, don't tell!

Da Wikipedia:

"Show, don't tell (Mostra, non dire) è un'espressione di tecnica narrativa di derivazione anglosassone. Viene utilizzata come raccomandazione per gli scrittori che fanno un uso eccessivo di spiegazioni e commenti a discapito dell'azione e dei dialoghi. Se
lo scrittore usa azione e dialoghi per rivelare un
personaggio, la trama
dovrebbe risultare più interessante al lettore. Quest'ultimo dovrebbe sentire di vedere la
scena schiudersi di fronte a sé e, in conseguenza di ciò, giungere a una propria interpretazione senza
interferenze da parte dell'
autore."


Direi che il concetto è piuttosto chiaro. E lo è ancora di più se ci viene in aiuto una metafora presa in prestito dal mondo cinematografico: in sostanza, sarebbe bene descrivere una scena non raccontando ciò che dice e fa un personaggio, ma vedendolo agire e parlare, quasi vi fosse un obiettivo a catturare ogni sua espressione e movimento (sì, un po' come spiarlo dal buco della serratura).
Personalmente, condivido in pieno questo assunto. Ed è anche per questo che nel raccontare prediligo l'uso della terza persona limitata: infatti, da un po' mi sono resa conto che un punto di vista onnisciente rende spesso noiosa la lettura. Io trovo sacrosanto il beneficio del dubbio, la carica suggestiva delle reticenze.
Certo, c'è poi chi, secondo me, ne abusa, lasciando troppi punti oscuri, domande in sospeso. E' il caso, a mio parere, di Steven Erikson (che ho scoperto solo di recente) il quale, per quanto io quasi adori e osanni il suo stile e i suoi scritti, non manca di far scervellare il lettore durante tutto il corso della narrazione. Da un lato questa "tattica" produce l'effetto di portare la curiosità al suo apice, ma dall'altro desta non poco nervosismo (almeno per ciò che mi riguarda... in più punti della lettura avrei voluto avere Steven a disposizione di fronte a me per farmi chiarire personalmente vari misteri!). Nonostante ciò, è anche vero che in Erikson tutti i pezzi del puzzle alla fine combaciano, anche se non subito e a una certa distanza tra un libro e l'altro.
In generale, comunque, è sicuramente peggio trasgredire il dettame "Show, don't tell", piuttosto che applicarlo all'ennesima potenza: infatti, nel primo caso si crea un buon motivo per abbandonare la lettura; nel secondo caso se ne offre uno per continuare a leggere.



P.S. Rinvio a un interessante articolo pubblicato su Gamberi Fantasy:

http://fantasy.gamberi.org/2008/05/31/riassunto-delle-puntate-precedenti/

La Rocca dei Silenzi - Andrea D'Angelo

Titolo: La Rocca dei Silenzi

Autore: Andrea D'angelo

Edito da: Nord (Fantacollana)

Anno: 2005

Pagine: 444

Prezzo: euro 16,50

Giudizio:
7.5/10


Inauguro la sezione "Recensioni" con un romanzo di un autore nostrano. Premetto che La Rocca dei Silenzi mi è piaciuto; il romanzo mi ha conquistata pian piano, ma con forza. Mi ha sorpresa e affascinata in molti passaggi (diciamo per il 90% della totalità), in pochi altri mi ha lasciato un po' smarrita e spiegherò perchè. Ma andiamo per ordine.

Nota: questa recensione contiene spoiler!


Trama
Anch'io, come già altri, ho iniziato a intuire il “segreto” della Rocca prima della metà del libro. Questo mi è dispiaciuto molto, ma in parte è stata colpa mia, perchè l'eccessiva curiosità mi aveva portata a spulciare i forum e le recensioni in rete nell'attesa che il romanzo ordinato su ibs.it mi giungesse. Tuttavia il presagio dello svolgimento finale della trama non ha inficiato la godibilità del tutto. Una lode all'autore per come ha saputo gestire gli intrighi e i sotto-intrighi. Promuovo in pieno quella che definirei una “tecnica di scorci”: spezzettare internamente i capitoli, mostrare alcune scene per volta e lasciare sempre col fiato sospeso è un accorgimento molto riuscito; inoltre permette di smorzare la noia che potrebbe derivare dal dover sorbirsi per un capitolo intero le ossessioni e le paure di un singolo personaggio o le atmosfere di un unico luogo.

SPOILER! Quanto al tema di fondo - la manipolazione genetica - non mi ha colpita molto. O meglio, mi ha sorpresa il fatto che un tema contemporaneo sia stato messo alla base di un romanzo fantasy – condivido l'autore quando afferma di non voler scrivere fantasy di pura evasione e intrattenimento, bensì fantasy “impegnato” e attento al reale. Semplicemente, i temi contemporanei non mi attirano molto. Ma questi sono gusti personali. In ogni caso, che il tema mi toccasse da vicino o meno, il romanzo alla fine centra il bersaglio: ti induce comunque a riflettere, tramite una trasfigurazione letteraria, su qualcosa che appartiene al nostro tempo. Ovviamente neanch'io, come l'autore afferma nella Nota finale, saprei scegliere se schierarmi dalla parte di Thal Dom Djew o Aseena Do Raghi. Semmai – e qui mi ritrovo ancora d'accordo con D'Angelo – mi sento molto vicina, proprio umanamente parlando, a Mordha (che tra l'altro è uno dei personaggi cui mi sono affezionata di più). FINE SPOILER

Personaggi
Indubbiamente sono il punto forte del romanzo. Come recita la citazione in copertina:

"D'Angelo è un autore veramente abile nell'approfondire le tensioni emotive dei personaggi che popolano i suoi romanzi."

Dopotutto, lo stesso autore sul suo sito afferma che "La Rocca dei silenzi è un romanzo di personaggi"; direi che D'Angelo è riuscito con successo nei suoi propositi: man mano che la storia procede, il quadro individuale di ogni personaggio si arricchisce, completando l'affresco di sfumature e particolari che rendono i personaggi “dannatamente umani”. Questo era l'intento di D'Angelo e, mi permetto di dire, questo è il tipo di romanzo fantasy che avrei sempre voluto leggere (e nel dir questo non eccedo con l'elogio, ma dico solo la – mia – verità). A differenza di altri – qui ancora parliamo di impressioni soggettive, a ognuno le proprie – io non ho avvertito questo distacco incolmabile tra me-lettore e i personaggi sulla carta. E' vero che un po' tutti inizialmente spiazziano e ti fanno domandare: “Ma lui da che parte stà? E' cattivo o buono? Ci si può fidare di lui? Chissà che non tradisca all'ultimo momento?”; tuttavia la gamma di difetti e ossessioni che li caratterizza è così vicina a noi esseri umani in carne ed ossa che col tempo – con cautela – mi sono accostata affettuosamente quasi a tutti i personaggi.

SPOILER! Andando più nello specifico: Thal Dom l'ho sentito vicino per la sua lucida follia, la sua apparente durezza ed infine la sua fragilità (inutile aggiungere che quando è morto è stato un colpo al cuore, forse anche perchè non mi aspettavo che venisse liquidato così... magari speravo, sognatrice e idealista come sono, una morte più “eroica”, e lo stesso ho pensato per la morte di Moenias); Mordha mi ha affascinata, mi ricorda un po' lo stereotipo del “gigante buono” (non so perchè ma, nella mia stramba fantasia, l'ho immaginato con la voce di Vin Diesel di The Chronicles of Riddick; per altri versi l'ho accostato a John Coffey del film Il miglio verde, forse perché dopo un po' ho sospettato che questa volta non poteva trattarsi di un sicario malvagio fino al midollo ma che dietro l'aspetto imponente e tetro Mordha nascondesse una grande sensibilità); Vòrak non so come definirlo... mi ha colpito perchè non è il solito nano spaccone e alcolizzato (il suo prestar fede, fino alla fine, alla sua "Kuaad" - la vendetta - gli conferisce molto spessore), ma ho iniziato ad averlo in antipatia da quando ho capito che avrebbe fatto fuori Thal Dom; Leshà mi ha dato un po' i nervi per il suo fare la parte della “piagnucolona che chiede protezione a chiunque” e credo che, insieme a un po' tutti i personaggi femminili, non sia stata approfondita adeguatamente (tuttavia il suo modo di essere viene giustificato abbastanza durante il romanzo, dunque non ho visto incoerenza e anche questo personaggio è molto credibile); Dèwera è la nota frizzante in tanto spargimento di sangue; Darija l'ho trovata anonima e abbozzata (ma non fa molta differenza visto che sarebbe uscita fuori di scena ben presto); Muèlm, con tutte le sue debolezze, l'ho sentito vicino tanto quanto Thal Dom (poi io ho un debole per tutto ciò che riguarda il deserto, il vento, e comunque tutte le metafore della Libertà). Quanto ai potenti della Torre di Dothrom, ho persino compreso l'atteggiamento di Greon, ho capito quale peso gravasse su di lui e cosa significasse essere l'Arhà della Torre di Dothrom, covo di corrotti senza scrupoli (Greon è come il Principe ideale descritto da Machiavelli: quando mai il potere non ha avuto un prezzo? Quando mai potere non ha fatto rima con “scendere a compromessi” o, peggio, “corrompere ed essere corrotti”?). Ultima menzione per coloro che forse sono stati i veri protagonisti – ignari – del romanzo: le mostruose – ancora “terribilmente umane” - creature che appestano la Rocca dei Silenzi. Sono le tante pecore Dolly, volendo riprendere la Nota finale dell'autore, che mi hanno fatto rabbrividire a prima vista, come accade sempre quando siamo di fronte al “diverso”, ma che mi hanno fatto una grande tenerezza quando le pagine del romanzo mi hanno mostrato gli orrori cui erano destinate... per non parlare poi della parabola finale: vederle bruciare mentre si agitavano nelle gabbie è stato un po' come se fossi stata io stessa ad appiccare il fuoco. Piccola menzione anche per le taccole: parentesi vivace e dettaglio che arricchisce l'atmosfera del romanzo. FINE SPOILER

Ambientazione
Poco da dire, in quanto in realtà dell'ambientazione si è visto ben poco. Scelta ragionata dell'autore, sulla quale non posso obiettare nulla. Infondo, a cosa sarebbero servite le descrizioni di luoghi lontani quando il fulcro della vicenda è la bipolarità costituita da Ammothàd e dalla Torre di Dothrom?

Stile
Qualche altro appunto sulle scelte stilistiche. Le parolacce, ad esempio: non le condanno. Anche se a volte mi è sembrato di ascoltare una battuta tratta da qualche film di Quentin Tarantino, non posso neanche affermare che le parolacce facciano crollare la coerenza dell'ambientazione. Anzi, le parolacce, oltre ad essere molto efficaci espressivamente, rendono maggiormente l'umanità dei personaggi. Certo, in un mondo fantasy, se proprio vogliamo essere pignoli, sembrano stonare (l'ideale sarebbe inventarne di nuove, adattandole alla cultura e le tradizioni del mondo creato, ma si tratta di un lavoro immane), tuttavia questa è stata la scelta dell'autore e come tale va rispettata. Poi mi è parsa una cosa molto originale. Mi soffermo un attimo anche su un altro aspetto: le parentesi riguardanti i fugaci amplessi tra alcuni personaggi. Come le parolacce, ci stanno anche queste cose: immaginiamo un gruppo di persone, maschi e femmine, costretti a condividere gli stessi spazi per un certo tempo... non credete che prima o poi ci scappi qualche incontro? Basta pensare a cosa succede nei reality per capire che non stiamo parlando di nulla di assurdo. Quel che conta, comunque, è il fatto che nonostante parolacce e allusioni sessuali l'autore non sia mai scaduto nella volgarità fine a se stessa: io non sono in nessun caso rimasta disgustata (escludendo i passaggi splatter inerenti le battaglie, ma lì era doveroso che i fatti facessero inorridire!). Concludo con una piccola nota dolente: in alcuni passaggi (mi riferisco alle scene d'azione) mi sono ritrovata un po' disorientata, non riuscendo a capire chi stesse facendo cosa... non capisco però a cosa sia dovuto e non saprei direi come D'Angelo avrebbe potuto descrivere quelle scene diversamente... Anche i dialoghi a volte mi hanno spiazzata... forse qualche frase retorica di troppo o giri di allusioni troppo intricati... ma si tratta di rare eccezioni.

In conclusione, posso affermare che gli euro spesi per la Rocca dei Silenzi sono valsi il piacere di leggere il romanzo (cosa che non è accaduta per altri libri di cui parlerò in seguito, ma per ora teniamo a mente un nome: Licia Troisi). La ragione del 7.5 come valutazione sta nel fatto che mi sarebbe piaciuto riscontrare una pari profondità psicologica nei personaggi femminili rispetto a quelli maschili.


Link correlati:

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La Rocca dei Silenzi su Wikipedia
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