lunedì 25 agosto 2008

Eccellente concertazione

ATTENZIONE: contiene spoiler su Maree di Mezzanotte.

Il vecchio palazzo, che presto sarebbe stato abbandonato in favore dell’Eterno Domicilio, era appollaiato su una collina concava; l’edificio vero e proprio era a un centinaio di passi dalle rive del fiume. Parti di un alto muro indicavano che, un tempo, a estendersi dal palazzo al fiume, c’era stato un recinto, con un’accozzaglia di strutture efficacemente isolate dal resto della città.
[…] La zona, per quanto non più rinchiusa, veniva solitamente evitata. La terra stessa non valeva nulla, a causa di un editto reale vecchio di sei secoli che vietava la demolizione delle antiche strutture, e i successivi insediamenti.
[…] Ma i lettori esperti delle mattonelle delle Fortezze conoscevano bene il significato di quella torre pendente, tozza, quadrata, con il suo terreno invaso dalla vegetazione. E anche delle abitazioni Jaghut, rappresentative com’erano della Fortezza di Ghiaccio. Molti sostenevano che la Torre dell’Azath fosse stata la primissima struttura dell’Azath in questo mondo.
Dalla sua nuova prospettiva, Shurq Elalle era meno scettica di quanto non avesse potuto essere in passato. Il terreno intorno alla malconcia torre di pietra grigia esercitava un minaccioso richiamo su di lei. Lì c’erano suoi parenti, ma non di sangue. No, quella era la famiglia dei non-morti, di coloro che non potevano o non volevano cedere all’oblio. Per chi era interrato nella terra grumosa, venata di argilla intorno alla torre, le tombe erano prigioni. La Torre dell’Azath non rinunciava ai suoi figli.
Sentiva anche che sepolte lì c’erano creature viventi, per lo più condotte alla follia da secoli e secoli di immobilità forzata tra antiche radici. Altre rimanevano cupamente immobili e silenziose, come in attesa della fine dell’eternità.
La ladra si avvicinò al terreno proibito dietro il palazzo. Vedeva la Torre dell’Azath, il cui terzo e ultimo piano si innalzava sopra le pareti curve delle abitazioni Jaghut. Nessuna delle strutture si ergeva completamente dritta. […]
Non aveva bisogno di vedere la pista di sangue. L’odore aleggiava pesantemente nell’aria afosa della notte; ne seguì la scia fino ad arrivare al muro basso che circondava la Torre dell’Azath.
Appena al di là, alla base di un albero storto, sedeva la bambina di nome Kettle. Nove o dieci anni… per sempre. Nuda, la pelle chiara sporca, i lunghi capelli intrisi di coaguli di sangue. Il cadavere davanti a lei era già mezzo sottoterra; veniva risucchiato giù verso l’oscurità. Per nutrire l’Azath? O qualche abitante affamato? Shurq non ne aveva idea. E non le importava. Il terreno inghiottiva i corpi, e questa era una cosa utile.
Kettle alzò lo sguardo; gli occhi scuri riflettevano, opaca, la luce delle stelle. Erano coperti da una spessa pellicola e da muffe che, se non curate, avrebbero potuto accecare la bambina. Questa si alzò lentamente; andò a raggiungere Shurq.
«Perché non vuoi essere mia madre?»
«Te l’ho già detto, Kettle. Non sono la madre di nessuno.»
«Stanotte ti ho seguito.»
«Mi segui di continuo.»
«Non appena hai lasciato quel tetto, un altro uomo è arrivato nella casa. Un soldato. Ed era seguito.»
«E chi dei due hai ucciso?»
«Quello che seguiva, naturalmente. Sono una brava bambina. Mi prendo cura di te. Proprio come tu ti prendi cura di me…»
«Io non mi prendo cura di nessuno, Kettle. Tu eri morta molto prima che io lo diventassi. Vivevi su questo terreno. Ti portavo dei corpi.»
«Mai abbastanza.»
«Non mi piace uccidere. Lo faccio solo quando non ho scelta. E poi, non ero l’unica a usare i tuoi servigi.»
«Sì, invece.»
Shurq fissò la bambina per un lungo attimo. «Davvero?»
«Sì. E volevi conoscere la mia storia. Tutti gli altri mi evitano, proprio come evitano te. A parte quell’uomo sul tetto. È anche lui uno diverso da tutti?»
«Non lo so, Kettle. Ma ora lavoro per lui.»
«Ne sono contenta. Gli adulti devono lavorare; il lavoro riempie la mente. Le menti vuote non vanno bene; sono pericolose. Si riempiono da sole, di cose cattive. E nessuno è felice.» Shurq inclinò la testa. «Chi non è felice?»
Kettle agitò una mano sudicia verso il cortile in dissesto. «Irrequieti. Tutti quanti. Non so perché. La torre suda tutto il tempo.»
«Ti porterò dell’acqua salata», annunciò Shurq, «per gli occhi. Devi lavarli».
«Vedo bene. E non solo con gli occhi, ora. La mia pelle vede. E gusta. E sogna la luce.» «Che cosa intendi dire?»
Kettle si scostò dal viso a cuore ciocche di capelli insanguinate. «Cinque cercano di uscire. Non mi piacciono quei cinque; non mi piace la maggior parte di loro, ma specialmente quei cinque. Le radici stanno morendo. Non so cosa fare. Mormorano di come mi faranno a pezzi. Presto. Non voglio essere fatta a pezzi. Cosa devo fare?»
Shurq rimase in silenzio per un po’. Poi chiese: «Quanto percepisci dei Sepolti, Kettle?» «La maggior parte non mi parla; sono impazziti. Altri mi odiano perché non li aiuto. Alcuni pregano e supplicano. Parlano attraverso le radici.»
«Ce ne sono che non ti dicono niente?»
«Alcuni stanno sempre muti.»
«Parlagli. Trova qualcun altro con cui parlare, Kettle. Qualcuno che potrebbe essere in grado di aiutarti.» Qualcun altro che ti faccia da madre… o da padre. «Chiedi opinioni, su qualunque argomento. Se ne rimane uno che non cerca di compiacerti, che non tenta di manipolare i tuoi desideri per essere liberato, e che non prova lealtà per gli altri, dovrai dirmi di lui. Tutto quello che sai. E io ti consiglierò come meglio potrò… non come una madre, ma come una compagna.»
«D’accordo.»
«Bene. Ora, sono venuta qui per un’altra ragione, Kettle. Voglio sapere: come hai ucciso quella spia?»
«Gli ho azzannato la gola. È il modo più rapido, e mi piace il sangue.»
«Perché ti piace?»
«Il sangue nei capelli mi aiuta a tenerli lontani dal viso. E odora di vita, non trovi? Mi piace quell’odore.»
«Quanti ne uccidi?»
«Tanti. Il terreno ne ha bisogno.»
«Perché il terreno ne ha bisogno?»
«Perché sta morendo.»
«Morendo? E cosa succederà se muore, Kettle?»
«Tutto verrà fuori.»
«Oh.»
«Mi piace questo posto.»
«Kettle, d’ora in poi», concluse Shurq, «ti dirò io chi uccidere… non preoccuparti, dovrebbero essercene molti».
«Va bene. Gentile da parte tua.»

Fra le centinaia di creature sepolte nel terreno dell’Azath, solo una era in grado do ascoltare la conversazione fra le due non-morte in superficie. L’Azath stava abbandonando la sua morsa su quell’abitante, non per debolezza, ma per necessità. Il Guardiano era tutt’altro che pronto: forse non lo sarebbe stato mai.
[…] La Torre dell’Azath stava davvero morendo. E la disperazione costringeva ad avventurarsi su sentieri mai percorsi.
Tra tutti i prigionieri, era stata fatta una scelta. E i preparativi erano in corso, lenti come l’infiltrarsi delle radici nella pietra, ma altrettanto inesorabili. Tuttavia, c’era pochissimo tempo.
L’urgenza era un grido silenzioso che strappava sangue alla Torre dell’Azath. Cinque creature, simili tra loro, catturate e tenute prigioniere dai tempi dei K’Chain Che’Malle, avevano quasi raggiunto la superficie.
E ciò non era un bene, poiché erano Toblakai.

Questo passaggio - tratto da Maree di Mezzanotte di Erikson, che sto ancora leggendo - mi ha colpita: vi rintraccio un'eccellente concertazione. E' un passaggio chiuso e aperto allo stesso tempo, compiuto, essenziale ma non privo di dettagli significativi.

Analisi
L'estratto si apre con uno scenario: la Torre dell'Azath e dintorni. Della zona ci viene detto quanto basta per farci intendere che non è un luogo dall'aspetto rassicurante e che cela sicuramente qualche mistero. Infatti andando avanti scopriamo che il terreno, qui, mangia i morti. Il perchè fa ovviamente parte del mistero (e non è detto che Erikson, più avanti, lo sveli).
Dopo la descrizione iniziale, che ci ha offerto una visione d'insieme, l'obiettivo immaginario della telecamera si restringe e focalizza su uno dei due personaggi protagonisti di questo passaggio: Shurq Elalle, una sorta di non-morta con una storia alle spalle che ha dell'incredibile e che non starò qui a citare. Poco dopo, eccoci mostrata Kettle, l'inquietante bambina che scopriremo si occupa di fornire al terreno dell'Azath i cadaveri di cui ha bisogno.
Segue il dialogo tra Shurq e Kettle: gli interrogativi di Shurq mantengono quella razionalità che in Kettle vacilla, tanto che le risposte della bambina sono reticenti e allucinate; tuttavia ci vengono fornite delle informazioni che ci permettono perfino di capire qual è il particolare rapporto tra le due (il disperato desiderio d'affetto della bambina, che forse è lo stesso di Shurq, sebbene lei non voglia ammetterlo neanche a se stessa...). E' incredibile quanto possa contenere, d'importante, un solo breve dialogo!
Infine, il mistero che s'infittisce - il terreno si sta indebolendo e quando cederà "Tutto verrà fuori" - e il disvelamento finale: dalla terra-prigione risalgono alla superficie cinque creature. Il fatto che siano Toblakai non lascia presagire nulla di buono.

5 {COMMENTI}:

Anonimo ha detto...

Ma è veramente questo lo stile di Erikson? Devo ancora leggere il primo (per cui non ho letto tutto l'estratto), ma mi ero fatto l'impressione che facesse vedere solo quello che seriva lasciando che le informazioni arrivassero per conto loro (come se fosse un fumetto). Invece mi sembra che sia abbastanza descrittivo. All'inizio a praticamente raccontato tutta la storia della torre.
Non saprei, sono un po' deluso

Anonimo ha detto...

Beh, potrei risponderti che sì, questo è lo stile di Erikson; ma quanto può essere utile un piccolo estratto per farsi un'idea generica di uno scrittore? Ti consiglio vivamente di prendere in mano uno dei suoi romanzi (per esempio io, non avendo a disposizione subito I giardini della luna, ho letto prima La dimora fantasma che è il secondo volume; adesso sto leggendo Maree di mezzanotte che è il quinto volume, senza aver ancora letto Memorie di ghiaccio, che lo precede) per poter capire se Erikson fa al caso tuo o meno: lo scoglio delle prime 200 pagine da superare dei Giardini è diventato quasi una leggenda ormai... chi riesce a sopravvivere a queste allora sarà folgorato da Erikson e lo osannerà. Se non si riescono a digerire quei primi capitoli allora significa che Erikson non è ciò che si sta cercando.

Andando alla tua impressione: non si può dire che Erikson contravvenga al dettame "Show, don't tell!", anzi, il suo approccio narrativo è estremamente coinvolgente proprio perchè lascia che sia il lettore a ricomporre i pezzi del puzzle, a decifrare i dialoghi e gli eventi; l'intervento del narratore non è invasivo. E' ovvio che se, come in questo estratto, bisogna presentare uno scenario, allora la migliore cosa è descriverlo direttamente: in che altro modo avrebbe potuto mostrarcelo? Qui era importante alludere al mistero che circonda la Torre dell'Azath, per alimentare la curiosità. Meglio raccontarcelo che rifilarci le notizie tramite qualche fastidioso infodump. Comunque non ti scoraggiare, in Erikson non troverai trafile descrittive e pallose a mò di Tolkien: in Erikson tutto è indispensabile e niente superfluo; è essenziale, onesto coi lettori, ma mai privo di dettagli stuzzicanti.
Ovviamente il mio è un giudizio di parte, perchè personalmente lo adoro. Tu puoi iniziare a leggerlo e tirare poi le tue conclusioni (come ho fatto io con Martin, in negativo).

Anonimo ha detto...

Se lo scoglio delle 200 pagine è così leggendario non posso far altro che superarlo (cosa già ardua perché lo leggerò in inglese -devo migliorare al massimo la lingua).
Sul mostrare/raccontare la mia parziale delusione sta nel fatto che voglio riuscire a ottenere uno stile in grado di proiettare il lettore esattamente nell'azione (come in un fumetto) con la conseguente eliminazione coatta di ogni infodump e narrazione. Inizierà a leggere Erikson proprio per imparare ciò.

Parao ha detto...

Claudio, a me un romanzo scritto come un fumetto parrebbe aprioristicamente pronto per il cestino dei rifiuti. ^_^ Nemmeno un Sepùlveda, maestro di sintesi, scrive in modo fumettistico. Alcune soluzioni del fumetto sono validissime nei romanzi, ma un romanzo intero scritto fumettisticamente lo considererei immaturo e troppo facile. Se si scrive così, ci si butti sulle sceneggiature!

In ogni caso, questo estratto descrittivo non rende appieno il fatto che Erikson è sì descrittivo, ma non così tanto come potrebbe sembrarti da qui: i suoi sono tomi di 800 pagine e il suo (loro) mondo è talmente vasto e complesso che le descrizioni come questa sono un balsamo per il lettore, altrimenti perso in un universo di dettagli.
Sintesi: Erikson è talmente complesso che le sue descrizioni sono vitali.

Le 200 pagine sono leggendarie, ma io me le sono bevute in un nanosecondo ed è stato amore a prima vista. Da quanto ho letto in rete, sono uno dei rarissimi che le ha vissute così. Ma ho una predisposizione alla schizofrenia letteraria di Erikson, che da una certa maturità creativa in poi è sbocciata anche nei miei testi (pur se meno caleidoscopica di Erikson, perché anche se mi prefiggo le stesse sfide che si prefigge lui, ho imboccato un sentiero diverso per raggiungerle).

Come scrissi a suo tempo, Steven Erikson è il punto di riferimento ultimo circa la Fantasy epica tra gli autori contemporanei: non ne esiste un altro altrettanto immaginifico, creativo, profondo, arguto e cazzuto* quanto lui.

*Cazzuto nel senso che, finalmente esiste un autore che applica alla lettera il concetto "non dare la pappa in bocca al lettore". Concetto dal quale derivano le prime 200 pagine.
Tutti i corsi di scrittura creativa lo boccerebbero per l'approccio (e per questo considero da sempre i corsi di scrittura creativa buoni soltanto per chi sa già scrivere - altrimenti sono dannosissimi, oltreché spreco di tempo e denaro). A me, invece, il suo "in media res" privo di spiegazioni pare ineccepibile. E che stia conquistando così tanto spazio, invece di essere relegato all'angolino buio degli scrittori geniali e incompresi, la dice lunga su quali qualità possiede quest'uomo e scrittore con le iniziali maiuscole. Le sue interviste, infatti, sono una summa dell'uomo che immagino sia: profondo, colto e dannatamente sensibile.
Qui di seguito due tra le ultime che ho letto:

http://fantasybookcritic.blogspot.com/2008/06/interview-with-steven-erikson.html

http://www.fantasybookspot.com/node/2724

Anonimo ha detto...

Andrea, il tuo commento aumenta la mia curiosità, ma aspetto di fare un esame (e magari passarlo con un buon voto) prima di leggere Erikson.
Circa lo scrivere fumettisticamente, dipende da cosa si intende con questo avverbio. So benissimo che certe cose dei fumetti non possono essere riportate su carte. Quello che voglio imparare io e dare le stesse sensazioni e la stessa conoscenza che si hanno leggendo un fumetto.
E' un po' difficile e lungo da spiegare quello che intendo, ma il tipo di scrittura che intendo raggiungere è valido. Ho letto un po' de I giardini della luna. A parte il fatto che frasi, anche con un vocabolario accanto mi suonano strane, devo dire che lo stile di Erikson è quello che fa per me. Ho apprezzato soprattutto il fatto che a ogni paragrafo da una descrizione dell'ambiente in cui si trovano i personaggi e poi ci dà dentro con dialoghi e descrizione delle azioni.